Una tenda, sul fondo. Un cane-uomo accucciato ai nostri piedi, in prima fila. L’entrata in scena di attori-personaggi avviene attraverso una tenda, fatta di perline, di fili, come quelle che di solito troviamo appese nelle finestre delle cucine o all’entrata di alcuni vecchi bar. Non un sipario,
ma un velario mobile, casalingo, intimo. Attraverso il gioco di luci, quella tenda diventa l’accesso-uscita da e verso un mondo. La storia, infatti, è ambientata in un interno: la casa. Dietro quella tenda vive e combatte il mondo sottoposto alla deformazione bellica; tutte le maschere che via via entrano in gioco, provengono da quell’esterno oscuro. Nessun nome, nessuna voce: lo spettacolo è interamente mimato. Parliamo di ATTESA, testo di Alfonso Tramontano Guerritore, regia di Antonio Grimaldi, in scena Luciano Dell' Aglio, Gabriela Origlia, Cristina Milito Pagliara, Massimo Villani, Annarita Vitolo. Il teatro Elicantropo di Napoli ospita questa performance di difficile interpretazione e realizzazione, lungo quattro repliche, dal 13 al 16 marzo. Difficile interpretazione ma soprattutto complesso approccio con il pubblico. Gli spettatori, infatti, non comprendono subito la vera natura dello spettacolo, che non è costruito scenicamente attraverso dialoghi o monologhi, bensì attraverso un attento studio sul corpo che diventa mezzo del racconto. In effetti la trama sottostante non è inesistente, così come non lo è la partitura drammaturgica, ma l’attento studio del gesto, del suono e delle immagini, non gioca sul testo ma amplifica i sensi. La trama “racconta” di una giovane coppia di innamorati, divisi dall’avvento della guerra, e ritrovatisi, poi, al ritorno di lui, profondamente cambiati, così come cambiata è l’umanità. L’esito dell’incontro, anticipato dalla voce fuori campo, esempio di narrazione vocale che interpreta il pensiero del giovane militare innamorato, darà luogo a numerose riflessioni. L’intero spettacolo è costruito attraverso sequenze ed immagini che si legano tra loro mediante luci e musiche. Il silenzio in sala è sintomo di immedesimazione nella storia e di attenzione da parte del pubblico. La narrazione mimica, dunque, funziona, portando lo spettatore a seguire l’evoluzione del racconto, a non infastidirsi per l’assenza del testo, a scorgere sulle maschere indossate dagli attori piccole espressioni, in realtà inesistenti sui volti fissi. Ma bisogna fare attenzione, si tratta di un lavoro particolare, da un lato impegnativo per gli attori, dall’altro potrebbe anche stancare lo spettatore. Le maschere, realizzate da Angelo Russo e Bonaventura Girodano, riducono i personaggi ad apparenti manichini inespressivi. Questa mancanza diventa secondaria, perché gesti e situazioni colmano e riducono il vuoto iniziale dato dall’assenza del dialogo. Ecco perché la mimica, le azioni attraverso cui gli oggetti vengono spostati o utilizzati, i colori degli abiti o dei capelli-parrucche, tutto viene volutamente amplificato, proprio per sottolineare il contrasto con l’inanimata natura di ogni maschera. Ciò che sorprende è che questi manichini umani appaiano, poi, profondamente e sorprendentemente naturali. Personaggi ed ambientazioni sembrano essere tratti dai fumetti, dai cartoni, dai teatrini dei burattini, o addirittura dai fotoromanzi pubblicati tra le pagine dei giornali, in cui gli scatti sembrano immortalare pose eccessivamente rigide. La protagonista, simbolo dell’attesa appunto, indossa un abito bianco, immagine della purezza, dell’amore, del matrimonio, della società ancora costruita sui sentimenti. Dopo lo scoppio della guerra e la partenza del giovane innamorato, la casa della ragazza, luogo intimo ed accogliente, si trasforma bruscamente: una suggestiva immagine di una maschera diabolica entra in scena e rovescia tutti i mobili e le suppellettili, simboli di una vita serena ed ordinata, ricordo di un passato squassato dalla guerra. La ricerca corporea presenta un attore che cammina all’indietro piegando il busto in avanti, facendo scorgere la maschera del diavolo tra le sue gambe. Due torce legate alle ginocchia illuminano dal basso verso l’alto questo volto infernale, creando attraverso la luce l’immagine inquietante di un “quadrupede-aracnoide” dalle fattezze diaboliche, che avanza nell’oscurità della scena sulle note di canzoni patriottiche. La purezza della ragazza viene macchiata da stupri e violenze di guerra: l’infermiera la ritrova in fin di vita per terra con le gambe aperte, l’angelo la sostiene e la protegge mentre due loschi figuri vestiti di nero occupano illegalmente la casa. La simbologia del conquistatore straniero appare in scena attraverso la coppia vestita di nero: i due portano con sé due riviste, su cui sono riprodotte, rispettivamente, l’immagine di Marilyn Monroe e il nome del pittore Munch. Germania e America: passato e dopoguerra. Il presente vestito di nero, incarna il male-morte che inscena una danza tribale contro l’angelo, facendolo poi scappare. Anche l’uomo-cane rappresenta la stolta fedeltà, quella del militare che si sottomette al potere e parte per la guerra. Potremmo andare avanti ancora a lungo con le simbologie, dimostrando, quindi, che nonostante il teatro sia per lo più testo e scena, a volte l’assenza delle parole può comunque indurre il pubblico a ragionare e a comprendere il senso profondo, pur rischiando una totale incomprensione da parte degli spettatori. Nell’ultima scena, anch’essa caratterizzata da animali antropomorfizzati, o sarebbe più esatto definirli uomini zoomorfi, i due attori vestono teste da maiali. Un uomo e una donna, nella loro casa: le maschere dell’umanità hanno subito un’evoluzione denigratoria. Ecco gli effetti devastanti della guerra. ( foto di Luigi Pepe)
ATTESA
Teatro Elicantropo Napoli
13-16 marzo 2014
Attesa
testi e voce Alfonso Tramontano Guerritore
con
Luciano Dell' Aglio, Gabriela Origlia,
Cristina Milito Pagliara, Massimo Villani, Annarita Vitolo
maschere Angelo Russo e Bonaventura Girodano
scene Salvatore Giordano
regia Antonio Grimaldi
Attesa
- Scritto da Emanuela Ferrauto
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