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Il particolare diventa protagonista di uno spettacolo particolare. Al di là del gioco di parole, l’attenzione si focalizza soprattutto sull’osservazione dei particolari, contenitori di simbologie, storia ed arte. Ci ritroviamo davanti ad uno spettacolo dalla fattura innovativa, costituito da elementi che rinnovano e sorprendono la visione dello spettatore italiano. Non parliamo né di effetti speciali, né di marchingegni diabolici, né di contorte messe in scena. MONOCLE, il lavoro presentato sul palcoscenico di Galleria Toledo Teatro Stabile d’Innovazione di Napoli, dal 15 al 20 aprile, riporta sulla scena la vecchia arte del trasformismo, della parola, dell’interpretazione, dello studio sulla mimica e sulla tecnica corporea, e naturalmente sulla voce. Ritorna, cioè, tutto ciò che sta alla base del teatro e che spesso si disintegra brutalmente dietro ad effetti spettacolari che soffocano lo spettacolo stesso, che poco rendono e nulla dicono. A Napoli,  il Théâtre National du Luxembourg Compagnie Ghislain Roussel, presenta la drammaturgia e la regia di Stéphane Ghislain Roussel: l'attore-attrice-trasformista e immagine vivente è Luc Schiltz. Parliamo di immagini perchè il punto di partenza è proprio il quadro: nel 1926 il pittore tedesco Otto Dix riproduce un ritratto, metaforicamente caricaturale, della giornalista Sylvia von Harden. Innovatrice, rivoluzionaria, dai capelli corti, sigaretta e monocolo. Ecco il particolare da cui dobbiamo partire: titolo ed oggetto. Il monocolo aiuta a vedere meglio ma attraverso un occhio solo. Questo non permette di comprendere gli sdoppiamenti, i due lati di una stessa medaglia, l'espandersi della visione, le ramificazioni della comprensione. In una Germania di inizio Novecento, dopo la Prima Guerra Mondiale, la  giornalista rappresenta la nuova donna. Ma non solo. La nuova Germania. La nuova Europa. Propaganda? Razza pura ed evoluzione storico-politica? In parte. Non dimentichiamo il rovescio della medaglia. Il lavoro teatrale ha inizio, dunque, dai dipinti di Otto Dix, in particolare dal ritratto famoso della donna al tavolino di un bar con monocolo e sigaretta, braccio appoggiato sulla spalliera della sedia, abito a quadri rossi, alquanto corto per l'epoca. I dipinti del Dix, dalle deformazioni corporali, dai nudi e dalle immagini a tratti scabrose, ci avevano reso una Von Harden algida, mascolina, rigida, donna tutta d'un pezzo e visivamente poco affascinante. E così è il personaggio in scena, all'inizio, con un tocco di civetteria inaspettata. Tavolino, cocktail, sigaretta, sfondo asettico su cui vengono proiettati i sottotitoli, poichè l'intero spettacolo è recitato in tedesco. Monocle-Monologue: l'attore interpreta in solitaria il personaggio della giornalista, poi però comincia a "sgretolarsi". Ecco, dunque, che l'immagine va in tilt e non è univoca. Il personaggio, rigido e in posa mentre il pittore lo ritrae, comincia a dimostrare cedimenti, corporei e psicologici. Racconta episodi della sua vita, dal matrimonio ridicolo, alle amicizie, fino agli amori omosessuali e alla sua passione per la giovane chanteuse Marta. Si accenna al rapporto sessuale, al sangue, allo stupro, alla corporeità sensuale. Ma davvero la giornalista racconta di sè e della sua vita? La sensazione è che nulla sia lasciato al caso, neanche il più piccolo ed insignificante movimento o parola. Il processo di sdoppiamento e di rivelazione della verità si attua lentamente, mentre il racconto e la conversazione immaginaria vengono posti in secondo piano durante il corso dello spettacolo. Se una visione superficiale sembra agganciarsi al racconto degli aneddoti legati alla vita della donna, in realtà anche ciò che si crede filo conduttore del lavoro, cioè la narrazione, si sgretola, rendendo il lavoro più complesso e meno banale. I momenti temporali saltano, i personaggi ritornano e poi si allontanano, per tornare di nuovo, nella memoria e nelle immagini.
Ciò che colpisce visivamente ed emotivamente lo spettatore è di certo l'intensa performance dello Schiltz, che è colpo di scena e gestione perfetta delle tensioni corporee. Per non parlare del cambio di voce, squillante squittio femminile all'inizio, maschile e rude alla fine. La trasformazione e lo sdoppiamento di un'epoca, femmina ed innovativa, così come lo era la giornalista tedesca, è l'immagine di un mondo nuovo, di una Germania che si trasforma e che si macchia di sangue. Le due facce di una stessa medaglia osservate attraverso un monocolo, oggetto che non permette di comprendere le storpiature, le brutture, le deformazioni, poichè costringe il soggetto ad una visione limitata. L'idea drammaturgica è davvero innovativa, non solo nella costruzione testuale ma anche nella resa scenica e visiva, poichè è affidata ad un ottimo e giovane attore che rende, con la sua presenza, un buon esempio di tecnica attoriale. La svetizione, facendo scivolare via il quadrettato rosso che caratterizza l'immagine comune della Von Harden nei famosi dipinti di Dix, lo specchio, la trasformazione, lo "smascheramento" che elimina il cerone e la capigliatura e copre il volto di sangue,  rappresentano i particolari che descrivono i momenti più intensi dello spettacolo. E tali sono anche quelli utilizzati nel linguaggio: dal sottolineare i nomi dei personaggi di cui parla la giornalista, arrotando fortemente la "R" tedesca, fino allo schiocco di lingua che caratterizza la conclusione di numerose sue frasi dal tono eccentricamente effeminato.  Le ambientazioni ed i personaggi mitteleuropei di inizio Novecento, i riferimenti al cinema muto, al Cafè Chantant, e all'epoca della moda germanica, successiva al predominio artistico e culturale francese di fine Ottocento, sono solo un pretesto per la narrazione e per l'ambientazione. La storia si mescola ai tableau vivant, al teatro, allo studio sull'attore e sull'interpretazione, alla drammaturgia ben costruita perchè veloce, frantumata ed imprevedibile, alla follia ironica dal sapore amaro, a tratti drammatico. Il risultato finale? Un rozzo uomo travestito da donna, che rutta in faccia agli spettatori. La Germania? L'Europa? Il nuovo secolo? Pensateci, perchè non è tutto come sembra attraverso il "monocle".

MONOCLE- PORTRAIT DE S.VON HARDEN
Galleria Toledo Napoli
15-20 aprile 2014
drammaturgia e regia Stéphane Ghislain Rouseel
traduzione di Sven Christian Siegmund
con Luc Schiltz
costumi Xavier Ronze
trucco Sandrine Roman
musiche Viktor Ilieff