La Carne del Marmo - incontro con Michelangelo Buonarroti da un'idea di Alessio Pizzech e Maddalena Calderoni regia di Alessio Pizzech
Recensione di Alessandra Benedetti
Per la regia di Alessio Pizzech e la coreografia di Walter Matteini va in scena La Carne del Marmo, attore protagonista Alessio Boni, già conosciuto dal grande pubblico per La meglio Gioventù di Marco Tullio Giordana.
Con La Carne del Marmo, prima assoluta alla Città del Teatro di Cascina (PI), Boni prova ad esplorare la personalità inquieta e contrastante di Michelangelo Buonarroti, uno dei più grandi artisti della storia, da un punto di vista poco noto, quello del pensiero poetico e dei versetti.
Atto unico, lo spettacolo si apre con Michelangelo seduto in un angolo, con le spalle al muro: il grande artista sta ragionando a voce alta su pensieri d'amore e sulla concezione del lavoro dell'artista del suo tempo; contemporaneamente scrive piccoli, brevi e rapidi appunti, quasi come fossero dei versetti.
Contemporaneamente vengono proiettate immagini in sequenza sotto forma di video: si tratta di un corpo maschile che pulsa, che si plasma e si forma con le sue stesse mani, uscendo dal marmo, accompagnato da una musica moderna; successivamente due ballerini nudi aprono una danza/lotta sul palco: sono corpi scolpiti, dimostrano vicendevolmente la loro forza sfidandosi per primeggiare.
Michelangelo sta quindi avendo crisi celebrali, una lotta interna con i suoi pensieri, che gli impediscono di essere lucido, che si “mettono in scena” realmente con i due ballerini.
La mente dell'artista, i pensieri, la “lotta” viva discende sul palco, e lo spettatore ne fruisce, è dentro il genio, ed ecco la registrazione pulsante di ogni secondo delle sue sofferenze: egli corre sempre più velocemente, una folle fuga dalla opprimente realtà che lo circonda, suda, e il fiato si fa più grosso, i respiri lunghissimi, la sua resistenza fisica è messa alla prova. Alla fine, privo di forze, cade a terra stremato, come fosse morto.
Il proiettore luminoso è sulla scena, esso illumina le azioni, e più volte è lo stesso Michelangelo che impugna l'attrezzo per far brillare la danza/lotta dei ballerini, se stesso e il pubblico: la luce colpisce e mette in risalto ciò che gira nella mente del genio, è Michelangelo che fa girare il proiettore ed è lui che comanda, perché domina i suoi pensieri, e la mente vola via, i pensieri gli sfuggono lontanissimi anni luce, fino ad arrivare allo spettatore di oggi, che lo sta osservando, ma in realtà è Boni con il proiettore che osserva noi puntandoci contro la luce.
Ma ecco che torna la quiete apparente: l'attore in scena disteso per terra ricompone pensieri e versetti ragionando sulla politica e la funzione dell'artista del suo tempo, sull'amore e sull'uomo; il suo è un amore che non può venir espresso liberamente, deve celarsi e rimanere silente, non può manifestarlo perché ciò lo porterebbe alla morte. È quindi una frustrazione continua, un vivere soffocando la propria inclinazione ed esistenza, un voler “venir fuori” ma non poterlo fare.
Allo stesso modo, la scultura chiede all'artista di venir fuori, di esplodere: il compito dell'artista è far fuoriuscire “la carne” dal marmo, che è rinchiusa e nascosta, quella stessa carne che è scultura e che vuole fuoriuscire per potersi esprimersi e vivere.
Uno spettacolo unico: la recitazione unita e commista alle varie arti - danza, musica, recitazione e arte video - che dialogano insieme; il proiettore luminoso visibile sul palco gioca sulla realtà/finzione e allo stesso tempo lo spettatore è dentro la mente dell'artista.
La recitazione è efficace e interessante, non ha sottofondo musicale perché si vuole regalare il piacere completo dell'ascolto, far gustare ogni singola parola sulla scena; al contrario la danza/lotta dei ballerini e i movimenti di Michelangelo vengono molte volte accompagnati dal suono.
Il tono di voce di Boni è duro e possente come il suo corpo robusto; gli abiti abbozzano all'incirca la moda del quattro-cinquecento senza però dare una netta idea, al contrario regalandoci un'immagine del genio - se non fosse per la lingua - quasi fuori dal tempo.
Recensione di Matilde Francesconi
Non tutti sanno che Michelangelo Buonarroti, il maestro dello scalpello, era anche un abile scrittore. Sono stati ritrovati post mortem una serie di sonetti, nei quali l'autore, usando versi femminili, parlava della sua visione del mondo, dei dubbi, delle paure e dell'amore (verso il suo allievo Tommaso).
Alessio Pizzech si innamora di questi sonetti e decide di metterli in scena, al suo fianco c'è Alessio Boni, famoso sul grande schermo quanto nel teatro, e una serie di artisti visivi fra cui anche danzatori, che insieme danno vita a La carne del marmo.
Pizzech si prende il compito di dar vita a questi sonetti, mettendo in scena un verosimile Buonarroti (alias Boni) che, affranto dalla vita, legge i suoi stessi sonetti. La recitazione è intervallata da due bravissimi ballerini, che a ritmo di una musica incalzante e spesso feroce, compiono una danza di gesti e sfumature, come se venissero scolpiti da Buonarroti. Contemporaneamente vengono proiettate sul fondale immagini dell'autore visivo Giacomo Verdi, che sovrappone le sculture di Michelangelo a un uomo che si muove, sempre per dare l'idea del marmo vivo.
Il prologo e l'epilogo sono scritti in prosa, e quindi di facile comprensione, ma quando si parla dei sonetti la questione si complica, l'italiano che usa Buonarroti è un italiano arcaico, e di difficile comprensione, soprattutto per chi non ne è mai venuto a conoscenza. La scelta di Pizzech è di far recitare Boni leggendo i sonetti, e dunque perché non farglieli spiegare? Lo spettacolo sarebbe risultato più fruibile al pubblico.
Come ha precisato l'autore, questo era uno spettacolo nato per un festival, e la prima volta si è tenuto in una cava di marmo, in un'atmosfera decisamente diversa da quella di un teatro, la resa quindi ha un po' risentito della scena, che nella prima rappresentazione, fungeva da personaggio pure essa.
Se Michelangelo ha lasciato visibile i suoi dipinti e le sue sculture, e i sonetti invece ben nascosti, peccheremo forse di eccessiva smania di conoscenza, nel volerli per forza sviscerare al mondo?
Recensione di Ettore Mariotti
Quando pensiamo alla parola “genio” sicuramente nella rosa dei nomi che ci viene alla mente appare quello di Michelangelo Buonarroti, celebre scultore e autore degli affreschi più famosi del mondo, quelli della Cappella Sistina in Vaticano. Quasi tutti conosciamo le sue opere e sappiamo qualcosa del Michelangelo artista, ma cosa sappiamo del Michelangelo uomo? O anche del Michelangelo poeta? Non tutti sanno che Michelangelo si dilettava nella scrittura di rime e sonetti.
A questa lacuna tenta di rimediare lo spettacolo “La carne del marmo” di Alessio Pizzech con un virtuosissimo Alessio Boni nei panni dello scultore più celebrato della storia, che ci legge i suoi sonetti d'amore dedicati ad alcuni uomini, tra cui Tommaso de' Cavalieri. Sulla presunta omosessualità di Michelangelo si sono dibattuti gli storici, tuttavia per gli autori dello spettacolo non vi sono dubbi, incoraggiati da alcuni studi recenti condotti in Germania, e solo parzialmente in Italia, i quali hanno voluto vedere nella presunta omosessualità di Michelangelo un punto di forza per capire la sua arte, quasi come vivesse con disagio nella sua epoca, proprio la stessa che lo ha celebrato.
Michelangelo faceva con amore la sua arte, all'interno del blocco di marmo non ancora estratto vedeva già l'opera d'arte e in quei corpi maschili che scolpiva vi era uno slancio verso l'eternità, un'aspirazione all'infinito, all'immaterialità dell'anima e delle emozioni oltre alla materialità del corpo. Questo viene realizzato scenicamente con le coreografie di Walter Matteini, i video di Giacomo Verde e le musiche di Dario Arcidiacono; come dire, Michelangelo è stato scultore, ma quello che ha fatto ha influenzato tutte le arti della sua epoca e delle future generazioni. Come ad esempio il concetto di non-finito: lui ha lasciato moltissime opere non compiute, perché ne ha cominciate tante; secondo l'attore Alessio Boni questo è segno dell'instancabilità di questo artista, che non poteva fare a meno di scolpire, di lavorare continuamente a delle idee. Non importa se si finisce, ma l'importante è creare continuamente, o almeno tentarci, altrimenti la vita è noia. E poi ogni tanto, dovremmo non interessarci troppo al significato, a capire tutto, al finito. I sonetti di Michelangelo possono essere difficili da capire per un pubblico digiuno che li sente per la prima volta, ma possiamo benissimo apprezzarne il suono, la poesia, quel senso di non-finito.
Per chi non s'accontenta, completano lo spettacolo due monologhi, uno iniziale e uno finale, scritti da Gianmaria Cervo. Inoltre l'abile gioco di suoni e luci permette ai danzatori di plasmare lo spazio come se il palcoscenico fosse un blocco di marmo all'interno del quale dobbiamo scavare per trovare l'opera e gli spettatori più accorti la percepiscono prima di altri. In questa continua sollecitazione consiste il teatro.
E in questo spettacolo possiamo scoprire un Michelangelo che non conoscevamo, un genio che continua a stupirci ancora oggi, a quasi cinquecento anni dalla sua morte, un genio non finito.
Recensione di Valentina Lupi
Alessio Pizzech alla regia, e Alessio Boni come attore, vogliono esplorare il mondo di Michelangelo e il suo rapporto intimo con la materia da cui scaturisce l'opera d'arte.
Questo lo fanno grazie ai sonetti dell'artista, attraverso i quali rivisitano i luoghi più segreti della sua anima: il rapporto che ha con il corpo e il suo amore omosessuale fortemente represso, che in Michelangelo è l'elemento più nostalgico.
Nella lettura-interpretazione di Boni, il pensiero dell'artista si intreccia in un viaggio, sia musicale sia fatto di danza. La scena inizia con l'attore seduto in proscenio, vicino al sipario sulla destra, che disteso a terra comincia a scrivere al suo amato, ma lo fa come se scrivesse a una donna, perché doveva nascondere la propria omosessualità e tutto ciò creava nel suo animo dolore e nostalgia. Sul fondale vengono proiettati, a mano a mano che lo spettacolo si svolge, prima un corpo umano, poi alcune sculture di Michelangelo. Queste video proiezioni fanno capire che il tema della rappresentazione è la forma e la materia. Dopo l'apparizione dell'attore, entra in scena una figura che sembra quasi plastica, e poi un'altra dal fondo; queste due iniziano a ballare sulle coreografie fatte da Walter Matteini. I due ballerini, quasi completamente svestiti, ballano una danza contemporanea, simbolo della sensualità dei corpi maschili e delle sculture classiche del Buonarroti. Questi però non sono visti come nudi volgari e pornografici, quindi elementi di peccato, ma ricercano la sacralità del corpo per riuscire a estrapolare la loro vera meraviglia. I due ballerini posso anche rimandare al rapporto di amore che c'è tra Michelangelo e il suo discepolo, un amore che, come si è detto, non era accettato al tempo in cui viveva l'artista. In loro vediamo comunque una grande complicità, sia di sguardi sia di legame fisico, quello che avrebbe voluto l'artista con il suo allievo. Durante la loro danza l'attore segue i danzatori e illumina ogni loro movimento con un proiettore, che nella scena iniziale diffondeva luce alla sua stessa figura. Altro elemento importante, che è caratteristico di tutta la vita dell'artista, e che rivediamo anche qui, è la fatica . La vita di Michelangelo si fonda su questa parola perché non riesce a fare a meno, come del resto tutti i veri grandi artisti, di smettere di fare arte a costo di svenire. Buonarroti, come racconta la sua biografia, anche all'età di 88 anni faceva scultura, e una notte, a causa del grande sforzo fatto, lo trovarono a terra svenuto. Questo è un esempio di quella poesia del lavoro umano, dello sforzo artigiano di "dare forma" che diventa uno monito per il nostro presente meccanicistico e materialista. L'attore per finire ritorna nella sua posizione di partenza e conclude il suo monologo dicendo: "come un bambino beve il latte, io berrò latte insieme a pezzetti di marmo" . Sottolineando, ancora una volta, un incontro artistico che vuole restituire sacralità alla materia informe, che prende forma e che diventa personaggio dialogante: la pietra grezza che in sé già conserva la Vita.
Recensione di Valentina Volterrani
Spettacolo teatrale che mischia musica, danza e arti visive. In scena la riscoperta di un genio artistico, un Buonarroti che pochi conoscono: scrittore di sonetti d'amore travagliati e sofferenti.
Forse è stato proprio questo il problema centrale dell'intera rappresentazione, nonostante il Mito Buonarroti sia di conoscenza comune, la voce narrante di Alessio Boni non è stata abbastanza convincente nella comprensione dello spettacolo, voce di origine e punto d'arrivo.
Poco convincente per una platea che al termine della rappresentazione pare fosse non molto convinta sul fatto che lo spettacolo fosse concluso. Il primo battito di mani arriva,ma non subito, come se il pubblico si aspettasse altro.
Scenografia che risalta poco: pezzi di marmo distribuiti sul pavimento in maniera generica; uno schermo in fondo al palco sostituisce il fondale risultando però troppo dispersivo rispetto al resto: l'attore e i ballerini appaiono messi in secondo piano, quasi inghiottiti da questa totalità dello schermo su cui vengono proiettate alcune delle opere d'arte più famose di Buonarroti; un proiettore di luce mobile che viene trasportato da Boni in vari momenti dello spettacolo.
Toccante l'immagine di un corpo in movimento sullo schermo che si scompone e ricompone quasi imbrigliata e soffocata dal marmo che tenta di imprigionarla, tentativo dell'artista visuale Giacomo Verde di ripercorrere nelle proiezioni video il mutamento e il passaggio dalla materia grezza del marmo alla statua.
Un amore segreto decantato nei sonetti e riproposto sul palco tramite le figure dei due ballerini che in scena danzando si attraggono e respingono inseguiti dalla luce che rende i loro corpi di un candore marmoreo surreale, coperti solo da slip color carne.
Figure sfuggenti ma vive che potrebbero spiegarsi anche senza il personaggio di Boni che legge pezzi tratti dai sonetti per l'intera rappresentazione. Due anime in lotta che danzano semi nude, suggestivo è il rumore dello sbattere delle pelle quando si urtano tra loro e cadono sul pavimento, un rumore che rimbomba sul palco mentre la luce li scolpisce seguendo i loro movimenti.
Mentre loro danzano sullo schermo passano frammenti di opere di Michelangelo, rese più vive non tanto dalla qualità delle proiezioni che non sembra di massimo livello, ma dalla seduzione di un suono: il respiro.
Mentre scorrono le immagini si sente il suono di un respiro affaticato e tragico, come a far credere che sia il Genio a respirare. Quando lo schermo si spegne, l'ombra dell'attore resa più grande dalla luce sembrerà un ulteriore personaggio, quasi l'alter ego e il fantasma di Buonarroti.
In seguito lo schermo si macchierà di rosso, interpretazione della passione e dell'ardore che si nascondeva dietro alla figura che è rimasta intagliata nel nostro Rinascimento.
Anche se, per chi non conosce bene la storia di Buonarroti è risultato difficile seguire le parole dell'attore, sicuramente attrazione dell'intero spettacolo sono stati gli elementi visi e sonori che hanno messo in rilievo la dimensione percettiva dell'intera rappresentazione.
Alessio Pizzech alla regia avrà avuto sicuramente maggior soddisfazione nel realizzare la prima dello spettacolo nelle Cave di granito, portata in teatro La carne del marmo probabilmente ha perso qualche elemento di fascino, misurarsi con un tempo così lontano anche per lo spettatore presuppone sforzo e timore. Anche per questo nella platea si percepiva un sentimento interrogativo finale.
Recensione di Giulia stella
Mercoledì 12 febbraio al Teatro di Cascina è andato in scena La carne del marmo la cui idea e regia sono di Alessio Pizzech. Lo spettacolo vede in scena Alessio Boni, attore di teatro e di cinema, che con la sua interpretazione da voce all'immaginario del grande genio aretino, Michelangelo Buonarroti. Il percorso drammaturgico viene costruito attraverso i sonetti dell'artista che conducono gli spettatori nei luoghi più profondi dell'anima di Michelangelo; per riuscire ad entrare nel suo mondo attraverso quella che è stata un'esigenza vitale di scrivere e raccontare delle proprie esperienze di vita. Quello che ci propone il regista è un viaggio estetico nell'anima di Michelangelo, del suo rapporto con la bellezza, con la carne, con il passare del tempo e con l'amore omosessuale tanto sofferto, che lo ha posto in una situazione di forte isolamento interiore. Tutto questo realizzato grazie anche all'aiuto di una scenografia semplicissima e alle luci spesso soffuse per creare un'atmosfera ancor più suggestiva. Il pensiero dell'artista è accompagnato dalle musiche create dal compositore Dario Arcidiacono e, sul fondale, dalle videoproiezioni dei marmi di Michelangelo, realizzate dall'artista Giacomo Verde che ripercorre il passaggio dalla materia grezza alla statua in marmo. Ad accompagnare l'attore in scena oltre alle immagini e alla musica, ci sono due ballerini della compagnia Imperfect dancers, due corpi che con i loro movimenti tentano di evocare la sensualità del corpo maschile raffigurata nelle linee scultoree del Buonarroti. Riuscire a mettere in scena quel confine sottile che c'è tra il corpo e la materia e tirar fuori da quest'ultima l'anima intrappolata. La carne del marmo fa penetrare lo spettatore nella tormentata esistenza del grande genio; uomo vissuto nel '500, ma così vicino ai problemi e alle angosce contemporanee.