Anna Cappelli di Annibale Ruccello con Maria Paiato e la regia di Pierpaolo Sepe - produzione Fondazione Salerno Contemporanea Teatro Stabile d’Innovazione
Recensione di Laura Sestini
La forza di Anna Cappelli, la protagonista, nasce dall’astio, dal rancore e dal desiderio di possesso che la avvolge e poi la travolge. L’apparenza di donna provinciale ed ingenua, con i suoi abitini casti da perbenista, si dissolve nel dipanarsi del testo di Annibale Ruccello, antropologo ed autore napoletano precocemente scomparso nel 1986 a soli 36 anni. “ Il bravissimo regista Pierpaolo Sepe – racconta Maria Paiato, unica attrice sul palco – mi ha chiesto di far diventare il personaggio di Anna Cappelli una donna cattiva, avida, scura.” Maria Paiato è un’attrice affermata con lunga esperienza alle spalle ma dimostra anche disponibilità ed empatia con il pubblico. “ Considero Anna Cappelli un piccolo capolavoro , un classico. L’autore ha scritto moltissimo sulla sua città, Napoli, e di quella parte di umanità chiusa in una provincia degradata, ignorante e superstiziosa. E’ sempre nera la materia che Ruccello tratta nei suoi testi: la violenza, l’ossessione di personaggi che vivono una solitudine minacciata ed aggressiva. Si indaga l’animo umano, quindi un tema classico. Ruccello però ha avuto la capacità di elaborare un testo ironico, cinico e drammatico. Il capolavoro sta in questa miscela”. Sul palcoscenico una valigia di tessuto chiaro e il nome della protagonista, a caratteri cubitali sullo sfondo, sono gli unici elementi scenografici. Un palco vuoto dove Anna/Maria Paiato può spaziare in lungo e in largo dentro i suoi trascorsi quotidiani e di vita in mezzo ad altre figure solo evocate: i genitori, le sorelle, Tonino, la signora Tavernini, coinquilina di un appartamento in affitto vissuto come una costrizione, quasi una prigione. La valigia rappresenta il viaggio, il percorso di un’esistenza, spesso molto diversa dalle aspettative, dai sogni, dai desideri di una giovane donna che si trasferisce per lavoro in un’altra città. Un viaggio soprattutto interiore nell’incapacità di adattarsi agli eventi che si succedono, nel nevrotico pensiero di riuscire a realizzare, possedere qualcosa che ti faccia essere degno di nota agli occhi altrui. Anna Cappelli, uno studio mette in risalto la parte oscura dell’animo umano, indagine dalla quale, spesso, l’individuo ne esce sconfitto, vittima delle proprie angosce, del proprio dolore. Il gioco di luci di scena enfatizza la scritta sul fondo, facendola emergere come una pubblicità. La coreografia dei passi, dei gesti di Maria Paiato/Anna sono calibrati: si fermano sempre in armonia tra una lettera e l’altra del nome del personaggio che interpreta e insieme alla valigia, ritta nel punto giusto, vanno alla ricerca della forma estetica del quadro d’insieme. Il suono accompagna le battute dell’incalzante delirio della protagonista. Improvvisamente il lato oscuro di Anna/ Maria Paiato sommerge tutto. Tonino il ragioniere, “emancipato convivente” , innesca la miccia che manda in tilt la sua precarietà mentale. Lui vuole lasciarla e lei non può permetterlo. E’ suo e lo sarà per sempre. Il gesto terribile di Anna lo trasformerà in un corpo a pezzi conservato nel freezer fino all’ultimo boccone che la donna ingerirà. Non è un contro-femminicidio – assicura Maria Paiato – è solo un gesto terribile di una donna troppo spesso rifiutata, che non riesce a reagire in maniera positiva. E’ solo un discorso sul mostro che abbiamo dentro, che ha dentro Anna, risultando fragile e triste.” Il monologo finale della protagonista non esce più dalle labbra di Anna/Maria Paiato ma da una voce registrata che sembra arrivare da un mondo lontano. Il mondo irraggiungibile dei pensieri di Anna che chiede aiuto, consapevole del suo folle comportamento. Il riflesso nero del lato B dell’animo umano appare in tutti i personaggi di questo testo, ambientato negli anni ’60, ma oltremodo attuale e malinconicamente reale. Chissà cosa scriverebbe oggi Annibale Ruccello se fosse ancora in vita.
Recensione di Giulia Stella
Sul fondale del palco regna sovrano un gigantesco nome scritto nero su bianco: Anna Cappelli. Personaggio interpretato da una bravissima Maria Paiato che mette in scena un folle dramma umano, scritto dal talentuoso drammaturgo Annibale Ruccello, scomparso prematuramente all'età di trent'anni. Anna Cappelli è una giovane donna che vive durante il boom economico degli anni '60, da notare il contrasto con l'attrice invece non più giovanissim ; venuta via dalla casa paterna, si ritrova a vivere in una stanza della casa dell'odiata signora Tavernini, piena di gatti e puzzo di pesce bollito.
Anna conduce una triste esistenza ricca d'insoddisfazioni e frustrazioni per tutto ciò che non ha. Questo fino a quando non incontra il ragionier Tonino, l'uomo dei suoi sogni: ricco e solo. I due iniziano una convivenza, mal vista dagli altri che reputano Anna solo una concubina; lei dichiara amore, ma dal tono di voce dell'attrice si capisce l'inesistenza di questo sentimento nel cuore della donna; tutto ciò che conta per lei è AVERE "questo è mio ,mio, mio".
L'attaccamento di Anna verso Tonino si fa giorno dopo giorno sempre più morboso, ossessivo, legame che avrà un finale macabro quando il ragioniere riferirà ad Anna di volersi trasferire in Sicilia... da solo. Questa sarà la scintilla che tirerà fuori il mostro difficilmente represso nell'animo di Anna; metamorfosi che ricorda quella del personaggio del Signore degli Anelli, l'hobbit Smigol, un tempo buono, che si trasforma in Gollum, mostro dall'anima venduta ad un tesoro, al suo avere "il mio tesoro" . Così sarà Anna, schiava dell'ossessione dell'avere, un mostro che arriverà ad uccidere e mangiare le carni di Tonino, solo suo e di nessun altra.
Grazie alla regia di Pierpaolo Sepe si assiste ad uno spettacolo che ricorda il genere noir per atmosfere , musiche e luci; Maria Paiato eccelle nella rappresentazione del delirio amoroso e nella follia omicida di Anna: una donna sola, priva di esistenza, disperata, che distruggerà tutto ciò che era riuscita ad avere.
Sicuramente ciò che continuerà ad “avere” lo spettacolo e la sua interprete Maria Paiato - e mai avrà Anna - è un grande e meritato applauso.
Recensione di Matilde Francesconi
Il buio, poi una flebile luce la musica creano un filo magico che cattura l'attenzione della platea. Poi entra lei, Anna Cappelli (una meravigliosa Maria Paiato), con la sua valigetta e i suoi abiti color pastello, che stonano completamente con l'aria cupa che l'avvolge. Ed è solo lei a farti entrare nel suo mondo; una sola voce che risuona, ma nella testa di ognuno arrivano le risposte dei suoi interlocutori, della signora Rosa Tavernini, del ragionier Tonino Scarpa. Sentiamo perfino l'odore dei gatti della signora Tavernini, tanto odiati da Anna. Il ritmo incalzante che la musica scandisce si sposa perfettamente con il mix di sensazioni che le luci provocano. Tutto suggerisce un' aria tetra e cupa, un doppio sempre presente tra quello che si è e quello che si vorrebbe essere. Lo sdoppiamento di Anna da donna di modeste origini a bramosa assassina. Questo attaccamento feroce che ha per le cose e per la persona desiderata, più volte nel testo viene ripetuta la parola “mio” che riecheggia come un grido di rivendicazione e di battaglia. Niente è più importante per Anna di possedere le cose e gli oggetti, tanto da arrivare a commettere un rito delle più profonde tribù indigene, per compiere una vera e propria fusione con esso, in modo che sarà suo per sempre. Non è l'amore che muove il sentimento di Anna, ma una vera e propria ossessione sulla proprietà, sul controllo delle cose/persone che sono e devono essere sue, anche se l'unica cosa che siamo certi appartenere ad Anna è la valigia nella quale tiene i piccoli oggetti che le appartengono davvero.
In questo breve testo di Annibale Ruccello si può leggere un chiaro attacco alla società, una previsione realista di quello che col tempo è veramente divenuto uno dei nostri valori principali: il possesso delle cose e delle persone.
La versione di Anna Cappelli di Pier Paolo Sepe è comunque una versione in cui i toni del noir e della ferocia vengono fortemente a galla, una rilettura prettamente Hitchcockiana quanto nella scelta della musica, tanto nei personaggi, tanto da essere portati ad accostare alla nostra Anna il Norman Bates di Psycho.
Recensione di Valentina Lupi
Chi se lo aspetterebbe mai che quella giovane donna, che entra in scena vestita di giallo, abito da signora perbene degli anni ’60, sarà capace di uccidere e mangiare l’uomo che l’ha tradita? Una incredibile storia, raccontata da Annibale Ruccello, un autore geniale, che purtroppo ci ha lasciato troppo presto.
L'attrice che interpreta la cannibale è Maria Paiato, artista che ha ricevuto molte gratificazioni, tra cui due premi Ubu. La scena in se è molto semplice, abbiamo sul fondo del palco una grande scritta nera "Anna Cappelli", la giovane donna al centro con una valigia, al suo interno ci sono i vestiti che userà durante lo spettacolo.
Sono gli anni del boom economico, ma non per Anna che è costretta a vivere in uno stanzino, nella maleodorante abitazione della detestabile signora Tavernini, con i suoi malefici gatti. La ragazza non fa che lamentarsi per i colleghi, che hanno una casa tutta loro, e per i genitori che hanno ceduto la sua stanza alla sorella Giuliana. Attraverso il tono della voce ora più alto, ora più basso e la mimica delle mani e del viso, la Paiato riesce a trasmettere questa disperazione con grande abilità.
Un giorno le cose però cambiano: il signor Tonino, ragioniere facoltoso , dopo sei mesi di frequentazione, la invita ad andare a convivere da lui. Lei inizialmente non approva la convivenza, avendo paura delle discriminazioni borghesi, ma dopo un lavaggio del cervello dell'uomo, sul valore della emancipazione, si convince e va a vivere nella sua "reggia", con ben 12 stanze. Finalmente tutto è suo: Tonino, la casa e gli oggetti che la compongono.
Ma questa "favola" non avrà un happy ending. È l'inizio della fine: quando Tonino le annuncia il suo trasferimento in Sicilia e la fine della convivenza, lei non lo accetta. Lui è suo, ogni centimetro del suo corpo è suo, la casa è sua. Anna di fronte alla perdita dei suoi beni, guadagnati sopportando il ragioniere, la vecchia cameriera invadente, sacrificando giovinezza e maternità, diventa folle. Nell'ultima parte dello spettacolo la Paiato non parla, si sente solo la sua voce registrata; non c'è più nulla da dire. La donna ormai è rimasta sola, a causa della sua ossessione di possedere persone, come se fossero cose. Non gli resta che affondare il coltello nelle carni di Tonino. Lo divorerà piano piano, il cervello, il cuore, dove risiedere il sentiment, e con le ossa farà candele. Con l'ultima brucerà tutta la casa.
Un grande monologo , una grande attrice, una grande storia.
Recensione di Martina Di Gregorio
Braccia in aria e mani che si muovono a rilento, quasi a dare l’idea di due piccoli serpenti che strisciano adagio in uno spazio non definito ma che si sentono, si percepiscono nell’aria. È una similitudine questa, che definisce bene il personaggio diabolico di Anna Cappelli (Maria Paiato) in quanto questi viscidi animali sono il simbolo del male e della crudeltà. Una figura maligna, che ricorda un po’ le più celebri streghe della Walt Disney: Ursula la maga del mare (La Sirenetta) o la perfida Crudelia De Mon (La carica dei 101) che rapisce i cuccioli di dalmata per ottenere la pelliccia. Anna Cappelli è una donna di ventisette anni – nonostante la Paiato non sia giovanissima (classe 61) riesce benissimo a mostrare l’anima del personaggio che interpreta – di classe piccolo borghese, ossessionata dai beni materiali, tanto da farne la sua unica ragione di vita e tanto da farla arrivare all’esasperazione più totale. A differenza del testo originale di Annibale Ruccello del 1986, Pierpaolo Sepe (regista del dramma in questione) sceglie di sgomberare dalla scena qualsiasi oggetto, affidando all’attrice, in questo caso una delle più brave attrici Italiane del momento - tra i diversi premi che ha vinto, ricordiamo due Premi Ubu (2005-2006) e il premio Eleonora Duse come migliore attrice (2008-2009) - la responsabilità di esprimere, attraverso i movimenti del corpo, la mimica facciale e soprattutto il tono della voce, tutte le peculiarità che fanno parte di questo mostro che abita il personaggio. È quindi la forza espressiva di Maria Paiato a donare alla pièce quell’aura di sacralità tale da rendere il personaggio incomparabile. La protagonista del dramma porta in sé la miseria degli anni in cui divenne importante avere piuttosto che essere: Anna ha bisogno di avere tutto per se, di essere protagonista unica della sua vita; per questo non sopporta la sua famiglia che ha ceduto la sua stanza alla sorella, non sopporta la padrona di casa con i suoi gatti e l’odore di pesce bollito, non sopporta le colleghe pettegole, insomma lei odia tutti. Nel piccolo palco del teatro di Cascina, è l’enorme scritta “Anna Cappelli” in caratteri cubitali, bianco su nero a riempire la scena per l’intera durata dello spettacolo (1 h circa), come ad evidenziare le sue manie di grandezza, ma è dentro questo ossessivo desiderio di “essere grande” che si nasconde l’anima nera della donna provinciale, piena di insicurezze. Il diavolo-Anna veste bon ton: cappotto e vestito semplice giallo anni 60 e camicia da notte bianca, porta sempre con se una valigia, oggetto che acquista un valore semantico e rimanda alla sua instabilità mentale, una precarietà dovuta dalla sua fragilità e incapacità di adattarsi nella società. Più che amore (come molti hanno scritto) ciò che spinge Anna Cappelli a trasferirsi nella “reggia” di dodici stanze del ragioniere Tonino scarpa, è ancora una volta, la sua smania di potere. Un progetto di vita che Anna desiderava e fantasticava da sempre: sistemarsi con un uomo ricco, vivendo in una grande casa con cameriera e magari fare anche dei figli. Anna tocca con mano questa felicità, le sue preghiere di una vita sembrano aver funzionato, prova l’ebbrezza di sentirsi una donna appagata, che ha ottenuto (in parte) ciò che desiderava, quando all’improvviso arriva di nuovo il buio nella sua vita. Tonino le comunica che si trasferirà in Sicilia per lavoro, senza di lei. La diabolica protagonista adesso è in preda al panico, non può accettare questo, ha investito troppo tempo in questa storia, ci ha creduto, non può accettare di perdere Tonino, no. Assolutamente no: Tonino è suo, suo, solo suo. Ecco la tragica, agghiacciante registrazione della voce della Paiato che accompagna con i gesti della cattivissima Anna l’omicidio di Tonino ed il seguente pasto. La Cappelli mangia pezzo per pezzo le carni del ragioniere. Adesso è sola più che mai: piena e sazia di morte. Un pasto difficile da digerire.