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Attualmente sta lavorando a due progetti: il primo con il giornalista Daniel Tarozzi e i musicisti Salverico Cutuli e Anna Tinebra, dove si racconta l’Italia che cambia e resiste alla crisi ed il secondo che riguarda il teatro d’appartamento. Stiamo parlando di Orazio Condorelli, attore e regista teatrale che vive e lavora a Catania. Ha frequentato laboratori di alta formazione teatrale con Marco Martinelli, Vincenzo Pirrotta, Lello Arena, Emma Dante e Rick Cluchey. Da molti anni si occupa di teatro sociale e svolge laboratori teatrali presso istituti, scuole ed associazioni. Nel 2009 ha scritto e diretto lo spettacolo “Librino”, candidato al prestigioso Premio Speciale Ubu. Nel 2011 ha curato la regia dello spettacolo “Alla garibaldina”, vincitore del primo premio al concorso “Una Storia in Scena per celebrare i 150 anni dell'Italia Unita”, indetto dal Teatro Stabile di Catania. Orazio Condorelli, è capace, nei suoi spettacoli, di intriganti, stimolanti, sperimentazioni mescolando ironia, forza dissacratoria e momenti di poesia. Lo abbiamo incontrato a Catania, durante uno dei suoi apprezzati laboratori e gli abbiamo chiesto di parlarci del suo lavoro d’attore e regista, dei suoi progetti, dei destini della cultura e della nuova drammaturgia siciliana ed italiana.

Quando hai scelto di fare il regista e di dedicarti al teatro?

“Devo fare una piccola premessa. Circa quattordici anni fa ho cominciato la mia attività di volontario al Gapa, un centro di aggregazione nel quartiere popolare di San Cristoforo, a Catania, dove si lavora con i bambini, i ragazzi e le famiglie del quartiere attraverso attività di sostegno scolastico, sport, danza, giornalismo e teatro. All’epoca avevo già avuto un primo approccio al mondo del teatro, ma poca roba in confronto alle divertentissime prove con i ragazzi! Da questa esperienza è nata in me la necessità di dedicarmi alla regia e da allora ho sempre cercato di migliorare il mio modo di fare teatro e diventare una guida migliore, più competente e affidabile”.

Quale tipo di teatro ti piace affrontare nel tuo percorso professionale, nei tuoi spettacoli?

“Quand’ero piccolo pensavo che il teatro fosse una pena corporale: a scuola ci portavano a teatro per vedere degli spettacoli noiosissimi, letali. Così mi sono tenuto, per lungo tempo, a debita distanza da questo mondo. Poi ho avuto la fortuna di conoscere (ma in fondo è stata una fortuna cercata, voluta) un altro modo di fare teatro: non più un teatro borghese, digestivo, perbenista, museale, ma un teatro vivo e vitale come quello di Marco Martinelli, Emma Dante, Armando Punzo.  Così, adesso, ogni volta che devo affrontare un nuovo lavoro, mi chiedo sempre se questo ha davvero a che fare con la mia vita, se riguarda la vita delle persone con cui lavoro, se riesce e in che modo a parlare dell’oggi”.

Parlaci dei tuoi lavori, da molti definiti come teatro sociale e di come sei arrivato alla messa in scena…

“Librino”, “Io+te=amore” e altri spettacoli del centro Gapa, sono la chiara dimostrazione di come se si lavora bene e fino in fondo, se si decide di stare sulle cose, è possibile ottenere risultati anche importanti. L’etichetta teatro sociale l’accetto, ma con riserva, perché parlare di teatro sociale significa limitare le infinite potenzialità che questo mezzo ci offre. Il mio unico obiettivo è quello di fare teatro e cercare di farlo bene, senza alcun intento salvifico o assistenzialista”.

Lavorando a Catania cosa significa affrontare un certo tipo di teatro di qualità, ma in qualche modo controcorrente, indipendente e quali difficoltà si incontrano?

“Vorrei dire che il mio è un teatro che definirei popolare: tutti possono seguirlo, il più delle volte viene visto e realizzato da persone che nemmeno li frequentano i teatri. Per il resto posso dire che più sono gli ostacoli che si frappongono al raggiungimento dei miei obiettivi, più mi diverto. Fare teatro a Catania è difficilissimo è vero, non voglio per nulla sminuire, ma mi diverto anche molto a trovare nuove soluzioni. E poi, se avessi voluto una vita tranquilla, non avrei di certo deciso di fare questo mestiere”.

Come vedi la situazione culturale a Catania ed in Sicilia, quali gli sbocchi per chi, come te, cerca di proporre qualità ed allo stesso tempo novità in scena? 

“Mi dispiace che la mia amata Catania abbia conosciuto e conosca ancora un periodo buio della propria storia: metafora amplificata del vuoto che da più di trent’anni avvolge il nostro paese. Però mi sembra che ci sia una parte della città che reagisce, esiste un fermento culturale, anche se sotterraneo e non inquadrabile in forme convenzionali. Ed è a queste novità che bisogna guardare con attenzione”.

Quale importanza rivestono i laboratori teatrali, le scuole e come arricchiscono chi li frequenta e chi li tiene?

“I laboratori che conduco per me sono un’ottima palestra di sperimentazione e promozione teatrale, sono il mezzo che mi consente di proseguire nel mio percorso di ricerca. Per quanto riguarda i partecipanti, il laboratorio è uno spazio “protetto” dove poter sperimentare e accrescere la consapevolezza di sé, del proprio corpo e degli altri. Inoltre mi piace l’idea che queste “scuole elementari del teatro” (per dirla con Kantor) siano uno strumento ludico per la formazione di spettatori  più attenti e coscienti e questo accade naturalmente anche solo per il fatto di vivere in prima persona l’esperienza della teatralità”.

A Catania, in Sicilia ed in Italia, chi fa realmente nuova drammaturgia e dove sta andando il teatro senza più alcun finanziamento pubblico?

“In Sicilia guardo con molto interesse diversi artisti, molti provengono dalla nuova scena palermitana: Lidia Miceli e Massimo Vinti, Simona Malato, i Quartiatri, Giacomo Guarneri, Filippo Luna, gli Esiba, Carullo/Misasi. Più in generale, in Italia, penso ai Babilonia Teatri, Teatro Sotterraneo, Andrea Cosentino, Fausto Paravidino, Mattia Torre, ma sono davvero tantissimi e tutti diversissimi tra loro”.

Parlaci meglio del tuo progetto di teatro d’appartamento…
“In Italia esiste tutta una storia, anche vincente, di questo tipo di esperienza teatrale, ovvero di teatro d’appartamento. L’idea di fare teatro d’appartamento per me è nata dalla pluriennale collaborazione con un abile ed eclettico musicista catanese: Alberto Finocchiaro, frontman degli Arkam Asylum. Che cosa facciamo? Portiamo il nostro teatro nelle case, nei giardini e negli spazi privati. Come funziona? Le persone che ci contattano invitano un gruppo di amici che assistono all’esibizione. L’idea nasce da più necessità: portare il teatro in luoghi non convenzionali, eliminare le distanze tra attori e spettatori e soprattutto puntare sulle relazioni umane, base su cui l’esperienza teatrale si fonda”.

Attore, regista, sceneggiatore, ma chi è Orazio Condorelli nella vita di tutti i giorni? Quali i tuoi passatempi, le tue letture, i tuoi autori, la tua musica preferita?

“Il mio tempo libero lo dedico al gioco. Da pochissimo ho trovato un’ottima compagna: Gaia, la mia piccola nipotina. Sono un lettore onnivoro e disordinato, leggo un pò di tutto e contemporaneamente. Da poco ho finito di leggere due esordi letterari: “La solitudine di un riporto” del bravo Daniele Zito e “Primi passi sulla luna” di Andrea Cosentino: una delle figure più interessanti della nuova drammaturgia italiana. Poi ci sono libri che leggo e rileggo periodicamente, sai quando hai bisogno di compagnia e vorresti stare con persone brillanti, intelligenti e sagge? Ecco, in questi casi riprendo in mano ad esempio i “Sillabari” di Goffredo Parise che sono delle meravigliose poesie in prosa, oppure rivedo un film di Troisi o ascolto della buona musica”.

Nella foto l’attore e regista Orazio Condorelli