Pin It

Ci sono due direttrici di lettura e d’interpretazione che s’intersecano in “M. Carne della mia carne”, lo spettacolo di teatro-danza creato a partire dalla Medea di Euripide dal coreografo/regista pugliese Loris Petrillo e dal giovane drammaturgo Massimiliano Burini: da una parte il gesto intellettuale dell’artista contemporaneo che non prova solo a riprodurre il testo di Euripide, ma che – giustamente – realizza in scena l’esito del suo personale ed attuale confronto

con quel testo, dall’altra parte l’esatta focalizzazione del nodo tragico del testo euripideo, ovvero l’oscura, insondabile e mai pienamente compresa ferocia del gesto omicida di Medea nei confronti dei propri figli. Si tratta di presupposti solidi se si vuol mettere in scena oggi un testo tratto dalla drammaturgia classica, due pilastri che possono delimitare uno spazio reale per una seria riflessione sul testo di Euripide, sulla ricchissima tradizione che innerva il mito di Medea, sulla possibilità che oggi quel mito e quel testo possano ancora comunicarci qual cosa. In questo spazio allora Petrillo e Burini, restando lucidamente consapevoli della loro (nostra) contemporaneità, entrano con coraggio, provano a orientarsi e quindi si muovono a partire dal primo conflitto che questa tragedia presuppone e propone: quello tra Giasone e Medea, quello tra una donna e un uomo o, meglio, tra la mente di un uomo e quella di una donna. Ed ecco che la mente dell’ uomo, la mente di Giasone, appare estremamente più semplice ed estremamente più complessa quella della donna, la maga, la strega, la straniera, la sola capace di amare e odiare fino in fondo. Il dialogo/scontro tra Medea e Giasone si trasforma ben presto in un monologo/narrazione/flashback in cui alle ragioni dell’uno si contrappone la lacerazione dell’altro. Una lacerazione vera però, violenta, carnale, danzata e rivissuta con l’intensità che caratterizza il linguaggio coreografico di Petrillo, una lacerazione che non lascia spazio alla misura inautentica del compromesso, non si piega alla mediocre onestà della mediazione, non concede infine alcuna credibilità ad una virilità (quella di Giasone), che si confonde, si spoglia e incespica, si scopre vestita da sposa, dichiara tutta la miseria e la fragilità del suo essere: «…io dovevo sistemarmi, ecco tutto». Lo scontro diventa radicale e assoluto, quindi capace di cambiar tono (la tragedia assume toni grotteschi e, paradossalmente, diventa quasi commedia), capace di accogliere (ritorniamo ai due pilastri interpretativi di cui si diceva prima) assimilare e ricollocare in altre zone della nostra storia culturale e della nostra società la vicenda di Medea: si oscilla, senza banalizzazioni ma con qualche rigidità nel dispiegarsi della partitura scenica, da Alda Merini a Vinicio Capossela, dal tango a sonorità pop, dalla riflessione sulla possibilità di una lettura bassa, popolare e politica di questo mito (il solco fondamentale in tal senso lo ha tracciato Pasolini) alle odierne degenerazioni televisive in cui Giasone può diventare il “Jason” di una nota soap opera e chi sta sul trono non è più un sovrano ma, molto più banalmente (e assai amaramente), un “tronista”. Questa “Medea” s’è vista in Sicilia, al Teatro Greco di Palazzolo Acreide (un teatro antico di grande fascino, ma il palcoscenico è troppo piccolo soprattutto per la danza), il 22 luglio scorso, nel contesto della rassegna regionale di teatro e danza “Teatri di Pietra”. In scena a danzare e recitare: Massimiliano Burini, Rosanna Cannito, Nicola Cisternino, Rosa Merlino, Giuseppe Muscarello.