Come l'ignoto nemico oltre il deserto che si materializzerà troppo tardi per dare un senso alla sua vita, così anche la Fortezza Bastiani, posta da chissà chi a presidio di quel nulla, scompare attorno al solitario Tenente Drogo in questo bell'adattamento teatrale del famosissimo romanzo di Dino Buzzati,
curato da Maura Pettorruso e prodotto da TrentoSpettacoli.
La drammaturga infatti punta, riuscendovi, ad isolare il nucleo narrativo nascosto nel romanzo rinunciando agli spazi aperti e agli orizzonti lontani, da cui balucinano le luci degli attendamenti nemici, rinuncia ai personaggi che animano la fortezza e alle cime dei monti innevati per sostituirli con i non meno aspri paesaggi interiori di un animo tormentato che, suo malgrado, si fa specchio di una condizione esistenziale che aspira ad essere universale.
Così, in una scena praticamente in perenne penombra, la narrazione aperta e talora allucinata del romanzo ripiega in monologo ma senza nulla perdere dei ritmi di un viaggio interiore e intimo verso la perdita di sé, viaggio scandito dall'accendersi e spegnersi delle poche luci in scena che il protagonista comanda e che ribaltano improvvisamente ed efficacemente gli orizzonti significativi, quasi si passasse in corsa da un bastione all'altro per osservare, oppure per evitare, i nemici che sfuggono.
Così il racconto militare del giovane tenente si rivela con efficacia drammaturgica il racconto di una ossessione intima che cela una inestinguibile paura di vivere, una ossessione che ci fa perdere il contatto con la vita e i suoi sentimenti, un dito che per sempre ci nasconde la luna.
Dunque l'attesa di un nemico che non appare è in fondo per Drogo la scusa per non impegnarsi, con la donna amata che muore, con la famiglia che dimentica e lo dimentica, una scusa per giustificare la fatica e l'incapacità di vivere, è una attesa che ti sceglie e ti consente di non scegliere, ti consente di non metterti in gioco, di rinunciare quasi con pervicacia alle occasioni che si presentano, con sempre minore cadenza, per fuggire da quel nulla.
Ma è anche una ossessione che mai ti ripaga e mai potrà farlo mentre le falangi tartare assaltano la fortezza e la tua vita condotta comunque lontano si spegne, è una schiavitù inutile.
Un discorso interessante quello che si sviluppa da questa drammaturgia, ben assecondata dalla secca regia di Carmen Giordano e fisicamente condotta in scena dalla coerente recitazione solitaria di Woody Neri.
Una produzione condivisa con la Provincia Autonoma di Trento e l'Ecomuseo della Valle del Chiese, terre segnate dal grande e sanguinoso primo conflitto mondiale la cui eco offre gli orizzonti significativi primari della narrazione, e organizzata da Daniele Filosi.
Al teatro Cargo di Genova Voltri il 7 novembre con un buon pubblico e molti applausi.
Il deserto dei Tartari
- Scritto da Maria Dolores Pesce
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