Era il maggio 2013, Dario Fo e Franca Rame provavano questo spettacolo in vista dell’imminente debutto, ma la malattia si portò via all’improvviso Franca. Un anno e mezzo dopo, Dario Fo è in scena, con lo stesso spettacolo, “Una Callas dimenticata” (Teatro Arcimboldi di Milano,
serata unica il 28 novembre ’14). Un testo comico e tragico, come suo solito. Si racconta della vita di Maria Callas, partita dalla Grecia e approdata a New York da bambina, poi le prime insegnanti di canto, il viaggio di nuovo verso la Grecia e poi l’Italia, il marito e manager Giovanni Battista Meneghini, l’intesa con Luchino Visconti e l’amore tormentato con Aristotele Onassis.
In un miscuglio di farsa e recitazione, Dario Fo è accompagnato sul palco da Sara Bellodi, Roberta De Stefano e Jacopo Zerbo che si alternano interpretando i differenti personaggi in scena. Niente scenografia, niente costumi, tutto è a vista sul palcoscenico, tutto è affidato alla potenza dell’interpretazione. Già, questo è il segreto della formula di Fo, la sola interpretazione. I giochi di “grammelot” che diventano esecuzioni paramusicali di fervida espressività, gli assoli inattesi di cui si mostra capace e i duetti con gli altri attori sganciano lo spettacolo dall’autobiografia e lo avvicinano quasi al varietà. E’ questo il clima, una festa del venerdì sera con i giovani dell’Accademia Teatrale Paolo Grassi seduti sul palco accanto a lui, come a ricreare quelle atmosfere da teatro di piazza degli anni Settanta, senza spaccature spaziali tra palco e pubblico.
Il pubblico interagisce, la partitura testuale è scandita sui quadri che lo stesso Fo ha dipinto con gli allievi del suo atelier, mentre brani rimasterizzati fanno capolino durante lo spettacolo a ricreare la magica capacità esecutoria della Callas.
La parodia è tutta affidata a episodi curiosi della biografia della diva, come la fame atavica degli inizi e il rapidissimo dimagrimento che ne è seguito. La malinconia fa invece ingresso in scena negli snodi più tortuosi della sua vita, gli abbandoni, la solitudine, l’oblio.
L’aspetto davvero convincente dello spettacolo, tuttavia, non sta tanto nella recitazione (talvolta un po’ indecisa e scoordinata tra i vari attori), quanto nel senso memorialistico di questa operazione teatrale. Un omaggio a Franca Rame, certo, ma soprattutto un racconto che nasce dal ricordo personale dei fatti, dagli aneddoti che Fo pare raccontare più per presa diretta che per sentito dire. Racconta Fo all’esordio dello spettacolo: «Personalmente ho conosciuto questa eccezionale soprano quando avevo poco più di 20 anni. Lei ne aveva due o tre più di me. Frequentavo l'Accademia di Brera e tutti noi allievi spesso eravamo ingaggiati dalla Scala, nello spazio dedicato alla scenografia, per rinfrescare i fondali e i drappi di repertorio per i nuovi allestimenti.
Da un trabattello sul quale stavo lavorando ho notato una ragazza piuttosto avvenente che attraversava tranquillamente il palco, transitando come niente fosse tra le quinte sotto le graticce cariche di strutture penzolanti. Preoccupato le ho gridato: “Fermati, è pericoloso attraversare il palco in questo momento! Non vedi che dalla soffitta stanno calando centine e colonnati della scena? Dove stai andando? Vuoi finire schiacciata come una sfogliatella?”. E lei: “Sto andando in proscenio, stiamo provando lì”. All'istante arrivò il responsabile del montaggio che disse: “Non si preoccupi signora Callas, ci penso io”; e così le fece strada prendendosela per mano e l'accompagnò passando da dietro le quinte. Poi la sentii cantare. Tutti noi ragazzi della scenografia ci bloccammo, scendemmo da scale e praticabili. Quindi, badando di non dare nell'occhio, ci avvicinammo al proscenio: di lì a poco eravamo tutti seduti sul pavimento dietro le quinte, ad ascoltare affascinati l'aria di Casta Diva. Alla fine, non abbiamo potuto trattenerci dall'applaudire, il direttore di scena ci cacciò dal palco come degli intrusi: “Peggio, dei guardoni musicali... non si ascolta di nascosto una soprano come questa!”