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Nominativo maschile plurale. Questo il titolo. Personaggio maschile singolare: un padre. Uno solo, ma simbolo di mille. Uno dei protagonisti di questa storia è il padre. Ed anche   il figlio, che senza di lui il padre non sarebbe tale. Ma non dimentichiamo anche gli altri: il mare, una corda, la nave, il vento. Impossibile descrivere il testo poetico, divertente, irriverente, tradizionalista, mitologico e commovente, di questo spettacolo, senza ricordare e citare anche gli altri “personaggi”. Alcuni visibili, altri percepibili. La storia di un ragazzo cieco calabrese, che vive in un paesino, vicino al mare. Il padre, pescatore, dalla pelle bruciata dal sole, dagli occhi azzurri come quel mare e quell’orizzonte che si incontrano senza confine. In mezzo, una profonda solitudine annegata nel mare, come quella nave da inchiesta, come quella madre ammalata, come quella voragine dolorosa che è il simbolo dell’affondamento. Anche i colori sono importanti protagonisti di questo spettacolo, che forse si preferirebbe ascoltare, chiudendo gli occhi, attraverso immagini da “sentire”, con la pelle e con i suoni, proprio come fa il ragazzo non vedente. PATRES, in nome di tutti i padri e dei loro errori, dall’antichità ai nostri giorni,  è lo spettacolo che apre l’attesa stagione del Teatro Start Interno5 di Napoli. Fugace presenza calabrese a Napoli, durante le repliche del 29 e 30 novembre, dopo il debutto estivo a Soverato e la recente presenza presso la Residenza Teatrale di Polistena, ancora in Calabria.
L’autore Saverio Tavano presenta in scena Dario Natale, nei panni del padre, e Gianluca Vetromilo, nei panni del figlio cieco, nonostante l’attore non lo sia affatto. Importante discutere con il giovane autore, dopo lo spettacolo, in una particolare atmosfera in cui si ritrovano vecchi amici del Sud e se ne incontrano nuovi. Importante discutere sul testo, confermare che stavolta lo spazio ridotto, più complesso per gli attori, è invece più adatto alla percezione dello spettatore e alle modalità di narrazione di questa storia. Importante chiarire le scelte dialettali e linguistiche e conoscere il rapporto tra gli attori e l’autore-regista, comprendendo l’evoluzione, la crescita, che coinvolge tutti, all’interno di un lavoro teatrale. Una famiglia composta da un padre e da un figlio, un’attesa immersa nella solitudine: spettacolo “onomatopeico”, in cui inevitabilmente suoni e musica, come il rumore del mare, il rombo degli aerei che attraversano quel cielo, simbolo di fuga, di “oltre”, di osservazione ampia, sono elementi fondamentali. Il legame con la propria terra è una corda legata alla caviglia, da un lato oggetto protagonista, estremamente funzionale, sia nella finzione della recitazione che nella realtà, perché evita al ragazzo non vedente di uscire fuori da un perimetro di “sicurezza”, dall’altro immagine dall’ancoramento, della solidità delle radici, dei legami affettivi e parentali. Il nodo che ci fa attendere una vita intera. La dicotomia tra il rimanere e il partire è presente durante tutto lo spettacolo, costruito sui cinque sensi, e sulla parola; per questo è interessante ribadire quanto sarebbe intenso “ascoltare” ad occhi chiusi l’intero dialogo tra i due personaggi. Il riferimento alla narrazione epica, da Enea, agli Argonauti, a Telemaco, il figlio che attende l’Ulisse inaspettato, fino al cane Argo, che il ragazzo non vedente chiama ripetutamente, come un amico immaginario, presente solo durante le lunghe assenze del padre, sono tutti codici insiti nel substrato culturale di tutta l’Italia del Sud, ma soprattutto nella Calabria della Magna Grecia. Così come è evidente il riferimento al racconto orale, monito ed insegnamento, che è tipico di questa cultura. E oltre al Telemaco figlio, il padre appare come un Ulisse,  a tratti nei panni di Palinuro, il nocchiere di Enea, che muore, ingurgitato dal mare. L’autore, infatti, aggiunge la cronaca, sfiorando la vicenda della nave Jolly Rosso, affondata nei pressi di Amantea, e protagonista di inchieste irrisolte riguardanti il trasporto di rifiuti tossici. La profonda solitudine dei due protagonisti, viene spiegata, quindi, con la morte della madre per tumore maligno, simile alle numerose morti avvenute nella zona. Il nocchiere, affondato nel mare dalla sue stesse scelte e dalla stessa sua vita – si immagina, infatti,  che il padre, coinvolto nella vicenda, abbia guidato la nave della morte fino al largo, facendola inabissare davanti le coste, con tutto il suo carico mortale, mentre l’equipaggio viene tratto in salvo - diventa assassino inconsapevole della sua stessa famiglia, colando a picco, simbolicamente, nel profondo del mare. Un Palinuro insepolto, per questo perennemente atteso dal figlio, non tanto fisicamente, quanto affettivamente. Questo elemento reale di cronaca è una ferita dolorosa che sfiora, di passaggio, l’intero racconto, come a voler chiarire velocemente alcuni elementi che sono alla base della profonda solitudine raccontata in scena. Gli occhi ciechi del figlio interrompono la “dinastia” di pescatori: il padre vuole guadagnare ed essere “capitano”, almeno per una volta, ma non riesce a guidare la sua famiglia, né la sua vita. L’attesa, la partenza, il rimanere, il nodo, l’Estero, che giunge attraverso le telefonate dello zio, rendono l’ambientazione  come un interno di una casa, e a volte una spiaggia simbolica, ma comunque un contenitore serrato in cui l’esterno è caratterizzato da quel mare infinito e profondo, che ogni tanto lambisce i piedi del ragazzo e la porta di casa. Poi, improvvisamente, i due si ritrovano sul ponte del vecchio peschereccio rimesso a nuovo, immaginando  il movimento della barca attraverso una semplice sedia dondolante, immagine delicata di una regressione infantile estremamente poetica,  mentre lo scricchiolio dei legni, il sale sul viso, i venti che lambiscono le orecchie e gli odori, pervadono le menti degli spettatori. Bisognerebbe davvero chiudere gli occhi, quegli occhi coperti da una striscia di scotch che il padre appiccica sulle palpebre del figlio. Quegli occhi ciechi che invece vedono più di altri, infantili ma veritieri. Meglio incollarli per non conoscere la realtà. Recitazione intensa, viscerale, corporea, eccessiva a tratti, fino alle lacrime, pesanti, che sgorgano realmente dal viso del giovane attore. Piccoli testi di grande poesia. Nuova drammaturgia del Sud.

PATRES
Start Interno5 Napoli
29-30 novembre 2014
SCENARI VISIBILI
PATRES
con Dario Natale e Gianluca Vetromilo
drammaturgia e regia Saverio Tavano