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Napoli ospita VUCCIRIA TEATRO: tre giorni dedicati ad uno specifico focus rivolto alla compagnia siciliana che opera tra Catania e Roma. Due nomi: Joele Anastasi, Enrico Sortino. Una città in comune, quella siciliana, un dialetto unico, l’esperienza con l’Accademia del Musical di Catania,

e poi Roma. I Vucciria Teatro, che poi adottano per la loro compagnia una denominazione di luogo palermitano, risuonano nelle orecchie da tempo. Il loro successo all’Estero crea il fenomeno “Vucciria” in Italia, e l’esperienza di Joele con il teatro in lingua e le produzioni estere di certo è fondamentale. Venticinque anni e la scrittura scenica, la regia e l’interpretazione: drammaturgia del Sud che dal Sud fugge. Incessantemente, inevitabilmente. E per farlo si catapulta a Roma, la meta ambita dagli artisti isolani, ma poi anela verso l’ “altro”. Questo è quello di cui parliamo, e non solo, durante l’incontro svoltosi il 7 gennaio, presso lo Spazio Nea di Napoli. In attesa degli spettacoli in scena a Galleria Toledo, dal 9 all’11 gennaio, che hanno visto un enorme afflusso di pubblico. Si accende il desiderio di capire chi fossero i due catanesi partiti e ritornati dalla e nella mia stessa terra, comprendere il loro percorso e soprattutto la metodologia di scrittura e la poetica. Inevitabile la natura isolana, l’aspirazione alle terre al di là del mare, ma qui appare una fuga vera e propria. Se l’aspirazione a “ ciò che sta oltre” diventa poi motivo per distaccarsene, perdendo il primordiale anelito alla ricerca, il tutto si trasforma: non più curiosità, distacco e conseguente nostalgia, ma scontro. I due siciliani sembrano mostrarci un’evoluzione velocissima della loro ricerca dell’altro, aspirano a futuri testi in italiano, e non più in dialetto, perdendo forse la loro connotazione fondamentale. La sensazione è quella di una corsa disperata, di una fuga, che nasce dalla curiosità, da un anelito viscerale, ma che poi diventa scontro profondo con ciò da cui si è partiti. Il contrasto, all’interno del prodotto drammaturgico, è evidente all’interno dello spettacolo BATTUAGE, tralasciando, in questo contesto, il primo spettacolo scritto ed interpretato da Joele Anastasi, IO MAI NIENTE CON NESSUNO AVEVO FATTO, recensito tempo fa dal collega Paolo Randazzo, ed in scena anche a Napoli il 9 gennaio. Entrambi gli spettacoli vengono accolti da un folto pubblico napoletano ma la curiosità si concentra sul debutto di BATTUAGE, in prima nazionale, proprio a Napoli. Joele descrive il procedimento di costruzione del testo che tale non sarebbe, e tali non sarebbero i personaggi, se a far da substrato non ci fossero gli stessi attori, amici e collaboratori fedeli. VUCCIRIA, infatti, più che una compagnia, sembra essere un intento e un progetto comune, una famiglia artistica, una nave che cerca ancora approdo sicuro, al cui interno il timoniere indica la rotta, ma gli altri componenti mantengono la nave a galla. Immagine fantasiosa per una compagnia che sembra costituire un altro tassello del mosaico della drammaturgia contemporanea meridionale, benché i Vucciria sembrino essere caratterizzati dal contrasto tra il Sud e l’oltre. BATTUAGE è ambientato nei luoghi-non luoghi delle città di ogni parte del mondo, luoghi periferici contemporanei in cui lo scambio del sesso diventa apparentemente il filo conduttore di un discorso complesso e complicato che spiazza il pubblico. Gli applausi finali, alcuni accorati e rumorosi, altri corredati da occhi interrogativi, sembrano dare il senso delle reazioni frammentarie. Salvatore parte dalla Sicilia, ma non diremo di più. Il luogo in cui approda è corredato da personaggi la cui identificazione occupa la prima parte dello spettacolo. La loro vestizione e svestizione, la loro ambiguità, la loro fragilità, è palesata attraverso la scena: gli orinatoi putridi e scrostati diventano specchi, camerini sul palcoscenico, luoghi meta teatrali dell’enorme mascherata del mondo. L’intero spettacolo, caratterizzato da prostitute, travestiti, omosessuali, mariti con il vizietto, mogli dolorose e sottomesse, famiglie inesistenti e disastrate,  fa sorridere, fa inorridire, ma soprattutto colpisce, incuriosisce il pubblico: un urlo disperato, prolungato, addolorato, generato dalla nostra società. I Vucciria portano in scena la realtà dei fatti, nuda e cruda, descrivendo la società contemporanea non più al collasso, ma ormai sprofondata nell’abisso più scuro. Non si tratta di denunciare ciò che avviene oggi, bensì l’intento, violento e disarmante, è quello di indicare il dolore e l’ipocrisia più allarmanti. Non si vuole tornare indietro ai “bei tempi” e ai valori fondamentali, poiché non se ne ha più il sentore, né la percezione, non si conosce più la distinzione tra ciò che è giusto e ciò che non lo è. Si è lanciati, invece, verso “l’oltre”, ad una velocità talmente disumana che non si coglie l’approdo, non si nota ciò che sfreccia ai lati. I personaggi non hanno appigli, morali, sentimentali, corporei. Vagano fino a diventare essi stessi demoni di una religione che ha come nuovo Dio un ragazzo venuto dalla Sicilia, coscienza malefica che si pronuncia attraverso il microfono dello spettacolo. Il profano, più che il sacro, identifica, invece, la seconda parte dello spettacolo. L’ipocrisia e l’apparenza, la fornicazione, il tradimento, gli orinatoi – confessionali, il figlio che pensa sessualmente anche alla madre. La sporcizia più putrida e decomposta si sedimenta, attraverso gesti e parole, sul palcoscenico. Come comprendere a fondo tutto questo? Le ingenuità recitative e drammaturgiche di certo non mancano, e la sensazione è quella di un grosso gomitolo ingarbugliato, fatto di emozioni, di ricordi, di invenzioni, di racconti, che diventa rete e matassa che si ingarbuglia sempre di più. L’intento è forse quello di spiazzare il pubblico, mostrando tutto ciò che non si può ancora mostrare? Probabilmente no, benché sia funzionale in uno spettacolo. E non è neanche quello di descrivere il distacco dalla terra natia affinché si possa dire ciò che in certe culture è ancora difficile affermare. È un urlo disperato ed incomprensibile lanciato a velocità. Lo spettacolo appare a tratti esageratamente oberato da elementi e parole, a tratti si sgancia dalla costante velocità e perde potenza. “Schiaffeggia” il pubblico, lo tiene disperatamente incollato alle molteplici vicende e anche in questo intento, appare disperato. Come Salvatore, che altro non vuole che essere ascoltato. In attesa, dunque, delle evoluzioni di Vucciria Teatro, ascoltiamo i pareri discordanti degli spettatori e degli addetti ai lavori, e poniamo l’attenzione sui bravi interpreti Simone Leonardi e Federica Carruba Toscano, quest’ultima in particolare.

10-11 Gennaio 2015
Galleria Toledo Napoli
BATTUAGE
Produzione Diaghilev
co-produzione Vuccirìa Teatro
scritto e diretto da Joele Anastasi
con
Joele Anastasi
Enrico Sortino
Federica Carruba Toscano
Simone Leonardi