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Il femminile. Il doppio. La riconquista dell’unità. Tra psicanalisi e topos teatrale, “Trilogia del triangolo” (Spazio Tertulliano di Milano fino al 18 gennaio) è il punto di arrivo del collettivo nato nel 2013 alla Scuola d’Arte Drammatica Paolo Grassi proprio attorno all'idea di questa realizzazione. Un testo articolato in tre anime diverse, frutto della scrittura combinata di Alessandra Ventrella, Riccardo Calabrò e Ana Shametaj (in scena recitano Mariasofia Alleva, Marta Lunetta,  Alice Raffaelli). “Martire”, la prima sezione, racconta di un trans gender che ritrova in una santa il suo doppio, fino alla conclusiva evirazione che la porta alla riconquista di quell’unità fisica che il suo corpo negava. Poi “Repulisti Ti Tu”, tutto giocato sulla sessualità e la seduzione fino alla cancellazione di ogni senso, mentre alla maternità come sacrificio e egoismo, amore e morte è dedicato l’ultimo capitolo, “Deep”.
La regia di Ana Shametaj immagina uno scenario sospeso, il più appropriato per una riflessione che è pura metafisica, ritorno agli archetipi. Un grande schermo-triangolo incombe sulla scena, mischia i linguaggi, supporta la recitazione, la integra e vi dialoga in modo necessario. Un accorto gioco di suoni e suggestioni sonore contribuisce alla rarefazione di un’atmosfera quasi magica. Il risultato è uno spettacolo ambiguo, enciclopedico nella sua vastità di tematiche, ma interessante nella rappresentazione dei mostri moderni. Il doppio che è un alter ego da riconquistare è l’incubo umano rappresentato in secoli di drammaturgia e che ritorna prepotente nella modernità con la sua forza espressiva. L’umano è costantemente se stesso, compresi i suoi drammi.
La recitazione è asciutta, più da performance. Occorre un reset mentale per approcciare linguaggi così algidi, lo sforzo di cogliere la riflessione dietro al gesto, l’immedesimazione in una sinfonia che scaturisce dalla somma combinatoria delle parti.
Il luogo di rappresentazione contribuisce indiscutibilmente a questo risultato trascendente. Lo Spazio Tertulliano (via Tertulliano, 68) non è un teatrotradizionale ma appunto uno spazio, un luogo da riempire di umanità, di gesto, di immagine. Sorto tra i capannoni che lambiscono la periferia urbana, si è affacciato sulla scena milanese con una programmazione all’insegna del contemporaneo, dei giovani autori, della nuova scrittura. Nero, tutto nero, sulle pareti, sul soffitto. Quasi un cunicolo dell’anima in cui vanno in scena i fantasmi dell’umano, con la sensazione di aver toccato con mano un’esperienza vitale.