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Nel quarto appuntamento del ciclo “Produzioni Speciali”, il Teatro Stabile di Genova presenta al teatro Duse, in contemporanea rappresentazione dal 7 al 14 dicembre, due interessanti drammaturgie, in forma di monologo e narrazione, in un certo senso speculari, a cavallo quasi del Mediterraneo che ne fa da limes solo apparentemente impenetrabile e/o appunto da specchio a doppia faccia. Da una parte il monolgo drammaturgico La guerra di Klamm del tedesco Kai Hensel e dall'altra Ingannati, trascrizione drammatica di Uomini sotto il sole uno dei più noti racconti del palestinese Ghassan Kanafani tragicamente morto nel 1972. Coerente la scelta dei testi che, al di là delle differenze di sensibilità narrativa e costruzione drammaturgica paradossalmente appaiono accomunate dalla sforzo di intecettare nella trama, nell'uno spezzata ed arrabbiata e faconda e raffinata nell'altro, della parola una condizione umana, diversa per contesto politico o sociologico, ma esistenzialmente e culturalmente segnata dalla disperazione, la disperazione di un sogno diventato incubo. La drammaturgia di Hensel, nella versione italiana di Umberto Gandini e per la regia di Filippo Dini collaborato da Carlo Orlando, si affaccia in effetti sul vuoto della delegittimazione di ogni opportunità relazionale, affettiva, esistenziale o anche solo generazionale, di cui la scuola oggi in Europa rappresenta angosciosa ed angosciante metafora. Su un palcosceinco segnato dalla presenza, come una ossessione, della 'cattedra', il bravo Antonio Zavatteri è Klamm un professore di  leteratura tedesca cui è attribuita dagli studenti la responsabilità del suicidio di uno di loro dopo una insufficienza. Metafora, come detto, di una intero occidente la scuola di Klamm si trasforma quasi in un paradigma dell'incapacità dell'individuo di comunicare con il silenzio aggressivo e violento di una Società ormai muta di valori e speranze. All'interno di un tale contesto il professor Klamm assiste, quasi senza parteciparvi, al decadere di ogni suo sentimento, di ogni sua capacità di inverare affettivamente, anche attraverso l'odio, la sua relazione con gli alunni e attraverso questi con il mondo. È, quella di Klamm, una soggettività che decade progressivamente nella nevrosi e da lì traghetta alla follia della solitudine, popolata di incubi di morte, distruttivi ed autodistruttivi. Distruggendo il suo mondo ed i suoi abitanti, dai professori fanatici e malati agli alunni travisati in incapaci, Klamm distrugge sé stesso e viceversa, così come un mondo che si distrugge annulla ogni soggettività, fino al tragico ed incerto finale. Figlia e nipote di una drammaturgia che si affaccia sugli incubi ultimi dell'umanità, dal Goethe di Faust, che come un fil rouge percorre la narrazione, a Peter Handke, La Guerra di Klamm ripropone, con efficacia e anche con brutalità, il discorso di quella drammaturgia sulla perdita di senso nel tempo del nostro esistere. Viceversa Ingannati, nella regia ed interpretazione di un ottimo Nicola Pannelli, ripropone la trama raffinata, ricca di una sintassi faconda e aggettivata, della tradizione narrativa araba riuscendo nel non facile compito di non disperderla nella trascrizione scenica. Narrativa del sogno che nasce nel deserto, il racconto di Kanafani sembra, ma solo sembra, ripercorrere un percorso inverso rispetto a Hensel, nel suo arricchire nella magia delle parole il percorso del ricordo, per irrobustirlo degli affetti da preservare e nutrire di nuova vitalità. Al di sotto e all'interno di un contesto politico, forte e noto per la sua drammatica attualità, la narrazione diventa quasi pretesto metaforico per intercettare una condizione di desiderio inesauribile ma insieme tragicamente irrealizzabile cui gli uomini paiono aggrapparsi sempre di più proprio quando gli orizzonti si fanno sempre più lontani. Le storie dei tre profughi palestinesi, in fuga dall'inferno delle loro vite spezzate verso un paradiso spesso solo immaginato ed in cui, in fondo, forse non credono, si trasfigurano, oltre le comunque tragiche loro soggettive contingenze, per diventare fenomeno di una condizione esistenziale dai tratti a volte metafisici, in cui vita e morte paiono i termini speculari di una unica inscindibile condizione umana. Così, al di là dei più contingenti riferimenti all'attualità, è la parola stessa di Kanafani che, ben custodita nella narrazione scenica, si fa oggetto, sensazione fisica a volte bruciante e violenta come un pugno nello stomaco, si fa insomma mondo. Citati i consueti contributi di Guido Fiorato, per scena e costumi e di Sandro Sussi per le luci, va detto che il purtroppo non numeroso pubblico della replica di domenica, ma forse il giorno non era favorevole per diverse contingenze, ha premiato lo spettacolo con applausi e partecipazione convinta.