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Fibre Parallele a Napoli? Beh, sì! In periferia. Il teatro Nest, collocato a S.Giovanni a Teduccio, periferia est di Napoli, da cui deriva il simpatico gioco di parole che caratterizza la campagna pubblicitaria di questo nuovo teatro campano, “Il teatro si fa ’o Nest”, legando l’onestà culturale e artistica, e il luogo in questione, ospita una delle compagnie più acclamate in Italia. L’occasione è dunque propizia: visitare il nuovo teatro, ampio e accogliente, dal cartellone  appetitoso, e rivedere Fibre Parallele, conosciuti durante StartUp Festival a Taranto, nel 2013, con LO SPLENDORE DEI SUPPLIZI. Due anni fa l’impatto era stato violento: diciamo la verità, Licia Lanera, premio UBU under 35 del 2014 come migliore attrice ( per l’interpretazione della Celestina, nella regia di Ronconi, che l’attrice ricorda in lacrime, a fine spettacolo), e Riccardo Spagnulo, non hanno mezzi termini. Il dialetto barese è ostico, stretto, duro, ma è necessario. In scena, quindi, il 21 e 22 febbraio, FURIE DE SANGHE. EMORRAGIA CEREBRALE. Le immagini sono grottesche, di quel grottesco che ci fa sentire degli stupidi-spettatori-ignoranti-italiani-imbambolati-perplessi-derisi-sorridenti-comici… e chi più ne ha più ne metta. Quindi, quando andrete a vedere Fibre Parallele, schiaffeggiatevi, svegliatevi! Bando alle ciance, parliamo dello spettacolo. È divertente osservare alcuni dei volti noti della Napoli teatrale contorcersi sulle sedie, o il pubblico degli abbonati di periferia, alcuni anziani, rimanere con gli occhi sbarrati, o chi mi accompagna, accuratamente preparata all’impatto visivo e psicologico, essere felice di aver visto questo spettacolo. Una casa, una tenda, tre persone, una famiglia, la campagna barese. Ciò che è fondamentale sottolineare in questo spettacolo è il lavoro approfondito di scrittura e di creazione di un testo, drammaturgico e scenico, che coniuga in sé la tradizione atavica della favolistica del Sud e l’antropologia, unendo, da un lato, i modi di dire, i proverbi, le antiche filastrocche cantate, i simboli, e dall’altro lo sconvolgimento della società contemporanea. Il contrasto, la trasformazione, ma soprattutto l’abbrutimento. Come già detto in altre occasioni, la famiglia descritta nella scrittura drammaturgica meridionale contemporanea non esiste più: genitori assenti, figli moribondi. Il contrasto tra origini e presente è ormai evidente e irrisolvibile. Qui, però, la famiglia diventa pretesto per raccontare non solo l’immagine di una società sfatta, putrida, impazzita, ma soprattutto per mettere in scena un concetto, o molteplici, che vanno oltre la realtà. La struttura del palcoscenico è una tenda-grotta-capanna, i personaggi potrebbero ricordare la Madonna, S. Giuseppe, e Gesù, nella loro variante profana e grottesca, aggiungendo un capitone ( vero!), che potrebbe sostituire il bue e l’asinello ( ma non solo!), e un “angelo” venuto dall’esterno, che sbuca da un sacco nero della spazzatura, in scena durante tutta la prima parte dello spettacolo. Ma in tutto questo discorso la favolistica antica si ricollega al  racconto di Cappuccetto Rosso, di cui la protagonista riporta il colore dei capelli, cioè la stessa Licia Lanera, mentre il lupo viene identificato con il padre, la madre sembrerebbe la vecchia nonna, il figlio il cacciatore. Quest’ultimo, interpretato da Spagnulo, dalle sembianze di zombie stolto dalle orecchie a punta, conduce la sua vita sperando di vincere con il “Gratta e Vinci”, “cacciando” e cercando una donna, una qualsiasi. L’immagine del figlio e del padre si sovrappongono continuamente, ritrovando in loro elementi simili e soprattutto l’indole cacciatrice che nel padre diventa malattia. Felicetta-Cappuccetto Rosso-Angelo del Male/ Bene è la preda, elemento esterno femminile che destabilizza l’equilibrio, già precario, ma pur sempre legato alla routine di questa stolta famiglia. L’elemento femminile si introduce violentemente all’interno di una comunità chiusa in cui la madre ha sempre rappresentato il femmineo.  La madre, nei panni di Sara Bevilacqua, trascorre le sue giornate accarezzando il capitone, animale reale, in carne e squame, che sguazza in una teca di vetro, durante lo spettacolo. La donna lo chiama ripetutamente “figlio”- il Messia?- mentre il padre, interpretato da Corrado la Grasta, trascorre i suoi giorni davanti al televisore. L’animale appare il simbolo fondamentale dell’intera vicenda: quando la ragazza arriva dal mondo esterno, il capitone sparisce e il morbo insito nelle menti e negli animi dei protagonisti si acuisce. Il capitone, simbolo antropologico del nostro Meridione, non a caso, un tempo, veniva ucciso dalle donne e dalle nonne durante la cena di Natale, e non a caso la famiglia qui riprodotta in scena potrebbe simboleggiare quella Sacra, e nello stesso tempo profana, delle nostre Natività. Inoltre, il capitone-serpente, immagine comune del peccato e del male, si insidia nella mente degli uomini. E “furie de sanghe”, in barese significa appunto “emorragia cerebrale”. Ognuno dei personaggi, in effetti, comincia un delirio, sopito o tenuto a bada dalla routine, proprio quando l’elemento esterno si introduce nel sistema “famiglia”. Ma qui si va oltre. L’intero spettacolo appare come “immagine simbolo”, che viene articolandosi attraverso alcuni quadri, polaroid della nostra società, che appaiono e scompaiono ripetutamente; le nostre orecchie vengono pervase da grugniti demoniaci in sottofondo,  da sospiri ed urla di memoria berbera, generati dalla nostra psiche. Sullo sfondo nulla. Il bianco. Ma nella nostra mente si aprono immagini di distese di campagna brulla e arida, sterco di animali, sporcizia e odori putridi. Inevitabile. La famiglia vive la sua routine malata, attraverso personaggi immaginari o realmente riscontrabili nella nostra quotidianità, portati ad estreme conseguenze e collocabili nelle camere di un manicomio. E invece rappresentano noi, o meglio, la parte più profonda e nascosta del nostro essere. L’arrivo dell’elemento esterno all’interno di un ambiente serrato, contorto e malato, dedito ad una routine legata alle ancestrali pratiche del nostro Meridione, all’ignoranza e alla sessualità più antica, porta alle estreme conseguenze un’esplosione. Un vaso di Pandora che rovescia ossessioni, manie, fobie, sessualità repressa, incesto, corporeità. Il capitone è anche simbolo sessuale, e questo deve essere demonizzato, e per chiudere il cerchio esso sparisce dalla teca di vetro e fuoriesce, sotto forma di feticcio, dai pantaloni del padre,  capofamiglia sessualmente invaghito della femmina esterna. I risultati saranno inevitabili. Dopo aver raggiunto il limite della tensione, la routine ritorna al punto di partenza, così come il capitone ritorna a sguazzare nella teca di vetro, adorato dalla madre e divinizzato; l’elemento esterno femmineo è stato ormai inglobato nella comunità “famiglia”. Il capostipite, il padre, però, è rimasto lacerato, anello debole di una catena in cui, se si inserisce un nuovo elemento, un altro deve decadere. Ottima interpretazione di tutta la compagnia, profonda, lacerante, straniante, a tratti ironica, dolorosa. Lo stomaco si contorce, il dialetto arido stona nelle orecchie, fino a quando ci si abitua al suono, il sangue sgorga realmente sulla scena – emorragia cerebrale, appunto - come sacrificio ancestrale, come liberazione che non guarisce ma rende visibile la malattia, psichica e simbolica. Il pubblico applaude sorpreso ed entusiasta, mentre alcuni spettatori si guardano attorno inorriditi. Lo scopo è dunque raggiunto. 

FURIE DE SANGHE
EMORRAGIA CEREBRALE
Teatro Nest - S.Giovanni a Teduccio, Napoli
21-22 febbraio 2015
Fibreparallele
in coproduzione con Teatro Kismet OperA
e Ravenna Teatro/Teatro delle Albe
con il sostegno dell' Ente Teatrale Italiano
in collaborazione con Teatro Pubblico Pugliese
progetto "Esercizi di lingua violenta" presentato con il Teatro Kismet Opera e con la collaborazione di Ravenna Teatro/Teatro delle Albe e del Teatro Pubblico Pugliese, vincitore  del bando Nuove Creatività pubblicato dall'Ente Teatrale Italiano.
Di Riccardo Spagnulo Regia e spazio Licia Lanera
Con Sara Bevilacqua, Corrado la Grasta,
Licia Lanera, Riccardo Spagnulo
Voce del Capitone Demetrio Stratos
Collaborazione spazio luci Vincent Longuemare
Assistente alla regia Rachele Roppo
Special art effects Leonardo Cruciano Workshop
Si ringrazia Marco Martinelli e Ermanna Montanari