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Il rientro napoletano dalla Sicilia testimonia ancora una volta la proficua connessione teatrale che intercorre tra queste due regioni.  Se a Napoli seguiamo spesso produzioni siciliane, in Sicilia l’incontro con gli autori della Nuova Drammaturgia del Sud, conosciuti durante le stagioni teatrali, napoletane e non, diventa, a sua volta, conversazione, confronto, incontro, amicizia, progetto.
Ritorniamo, dunque, a Napoli, dopo la pausa pasquale, ed è immancabile la nostra presenza presso il teatro Elicantropo, dove è indispensabile incontrare la palermitana Letizia: “vai a vedere Letizia”, “ devi vedere Letizia!”, “ non puoi perdere Letizia!”. Nonostante gli inviti di amici e colleghi spesso non abbiano esito positivo – bisogna essere come S.Agostino e giudicare con i propri occhi -  stavolta i colleghi e gli amici campani avevano ragione. Andiamo a vedere, dunque, LETIZIA FOREVER, testo e regia di Rosario Palazzolo, in scena presso il teatro Elicantropo di Napoli, dal 9 al 12 aprile.
Ciò che colpisce subito è che molti spettatori confermano la volontà di rivedere questo spettacolo più volte. Che il titolo influisca

sulla progressione temporale dello sguardo dello spettatore? In effetti il titolo colpisce subito. E naturalmente la “conclusione” di questo spettacolo ne rivela l’esito.
La drammaturgia del Sud, soprattutto quella siciliana, protende per i racconti legati alla famiglia, alle storie personali, semplici, in cui le elucubrazioni contorte non servono a nulla. Questo tipo di drammaturgia si identifica nel racconto, nel senso di “cunto”, di raccontare e di raccontarsi, momento atavico in cui è indispensabile che ci sia un “raccontatore”, un racconto, ed un pubblico di ascoltatori. Questo meccanismo è indispensabile ai personaggi per vivere e rivivere. L’intimismo di questi racconti diventa caratterizzazione specifica che, da un lato, coinvolge subito il pubblico, dall’altro spinge alla riflessione. Questo spettacolo segue un’evoluzione, tematica e linguistica, all’interno, invece, di un circolo vizioso, in cui è impossibile trovare uscita o soluzione. Il “cunto” si attorciglia su se stesso, svelando la sua molteplice natura, quella di racconto, di rivelazione, di testimonianza, di accusa. La storia della diciassettenne siciliana che in seguito alla “fuitina” si ritrova a Milano, e che dopo anni di vita matrimoniale, nella speranza che questo periodo rappresentasse il cambiamento, uccide il marito per gelosia. Una piccola storia che comincia da un rione palermitano, o della provincia palermitana, e che ricorda moltissimi fatti di cronaca, memore dei testi ruccelliani, se vogliamo citare la Nuova Drammaturgia Napoletana degli anni ’80. Proprio nei “fabulosi” anni ’80, così come li definisce Letizia, inizia questa storia. La ricerca linguistica, come detto, dimostra un’evoluzione: se all’inizio del racconto il linguaggio utilizzato è vicino ad un italiano regionale, successivamente il dialetto emerge fortemente, man mano che il discorso va avanti, aumentando anche la velocità di pronuncia, nonostante quello utilizzato non possa essere identificato come un dialetto stretto ed incomprensibile per un pubblico non siciliano.  Gli spettatori napoletani, infatti, seguono attentamente il discorso, dimenticando la diversità della lingua e sorridendo anche a delle specifiche espressioni palermitane. Attento studio appare anche quello sulla gestualità, che coinvolge le mani, le espressioni legate al volto, specificatamente agli occhi e alla bocca,  elementi che nel parlante siciliano, ma come in tutti quelli del Sud, sono fortemente connessi ed inscindibili dall’espressione linguistica. Dunque, gesti e parole non possono essere scissi, perché inglobati all’interno del racconto, ma soprattutto radicati profondamente in questo personaggio. Letizia è un parlante di rione, non acculturato, che tende a storpiare le espressioni e a mescolare il dialetto con l’italiano e con il linguaggio della televisione e dei giornali ( Ruccello docet, ancora una volta!). In particolare, la protagonista afferma di trovare la soluzione ai suoi problemi e di comprendere meglio il mondo attraverso la lettura della rivista “Sorrisi e Canzoni”. Partiamo, dunque, da questo giornale per comprendere ciò che caratterizza specificatamente questo personaggio e la sua vita. L’ambiguità dell’identità, il contrasto tra l’essere e l’apparire, tra la realtà e l’irrealtà, tra verità e sogno, tra ciò che è e ciò che è avvenuto. È questo il fulcro centrale dell’intero racconto, poiché gli avvenimenti che hanno colpito questa donna, in realtà appaiono a tratti racconto di vita reale, a tratti delirio, sogno o immaginazione.  Ci ritroviamo davanti a tematiche sociali, culturali, psicologiche, inserite all’interno di un piccolo racconto privato: ancora una volta un microcosmo di valenza universale. In scena la donna è interpretata da un uomo, Salvatore Nocera, il cui volto è incorniciato da lunghi capelli e da una barba folta; indossa un abitino e delle ciabatte da donna, ed in effetti, il pubblico, durante lo spettacolo, non vedrà mai un uomo, ma sempre Letizia. La duplice identità, o meglio, l’ambigua identità, è insita nello stesso personaggio, madre di due figli: solo Michelino andrà a trovarla, dopo il misfatto, nell’istituto in cui è stata rinchiusa e in cui è sottoposta, quotidianamente, alla “terapia della musica”.  La figlia non vuole assolutamente vederla, ricordando la scissione edipica madre- figlia, che si ripete ancora una volta. La stessa Letizia affermerà che il figlio, a volte, non comprende più chi è la madre o il padre: emerge, dunque, non solo il contrasto edipico, ma soprattutto si instilla nello spettatore il forte dubbio che Letizia si vesta anche dei panni dello stesso marito, o viceversa. E se fosse proprio il marito ad aver ucciso la moglie diventandone poi il portavoce immaginario?
Il racconto-cunto, quello della vita passata, si interseca alla musica anni ’80, attraverso quelle canzoni che identificano la prima parte della vita della protagonista e dei suoi ricordi giovanili, quel periodo ambientato nel Rione che, nonostante gli scontri con la madre e la morte prematura del padre, appare, alla fine, ricordo positivo. Il 1990 viene invece identificato con l’anno del cambiamento e della disgrazia. La musica e il teatro caratterizzano una terapia del dolore in cui ci si aspetta che Letizia confessi, posta su un palchetto illuminato da luci stroboscopiche, corredato  da un lettore cd, che lei definisce “mangiacassette”, da un microfono ( “micofrono” storpiato da Letizia), e da un pubblico immaginario. Immaginare di parlare su un palco di un teatro aiuta la protagonista a rivolgersi al suo pubblico, a raccontare agli spettatori, definiti stolti e poco intelligenti, a svelare il suo mistero, a sciogliere la lingua. Ma forse il palchetto teatrale diventa anche altare di sacrificio imposto dalla società, luogo di imputazione, in cui  la protagonista è costretta a raccontare e a svelare dolorosamente. Ma chi comprenderà a fondo il suo malessera mai compreso? Il teatro che “traveste”, che attraverso il travestimento, la metafora, l’allegoria, racconta la realtà, ci pone davanti ad un personaggio scisso e travestito, femmineo e mascolino, vittima e carnefice insieme.  È importante, all’interno di questo spettacolo, il collegamento a ritroso, poiché l’intero testo è costruito sull’alternanza tra il presente, quindi l’internamento nell’Istituto di igiene mentale, e il passato, e quindi è comprensibile anche il titolo e la simbologia della storia che si ripete senza soluzione. Anche la scena alterna precise connotazioni visive, nella distinzione tra passato e presente: il racconto viene identificato con la musica e le luci colorate ( la protagonista racconta solo sul sottofondo musicale), e il presente, doloroso e commovente, viene “illuminato” da un occhio di bue che “interroga” la paziente-imputata. L’interpretazione, intensa, ironica, dolorosa, difficilissima, di Salvatore Nocera merita un plauso, e tanti applausi in effetti ha ricevuto dai numerosi spettatori accorsi a conoscenere Letizia, durante le repliche napoletane. Quest’uomo diventa Letizia, e la sensazione finale è che vorremmo abbracciarlo e consolarlo, perché ci ha fatto ridere, ci ha fatto commuovere, ci ha fatto riflettere. Letizia è “forever”, come un cd che ricomincia dalla prima traccia, come un discorso mai concluso, come una storia che si ripete e che non si scioglie, né si svela del tutto.

LETIZIA FOREVER
Teatro Elicantropo Napoli
9-12 aprile 2015
T22 e Teatrino Controverso
col patrocinio di Equamente -Bottega del mondo
presentano
Letizia forever
testo e regia di Rosario Palazzolo
con Salvatore Nocera
e con le voci di
Giada Biondo, Floriana Cane, Chiara Italiano,
Rosario Palazzolo, Chiara Pulizzotto, Giorgio Salamone.
scene Luca Mannino e Antonio Sunseri
luci Toni Troia
assistente alla regia Irene Nocera