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E’ una storia di silenziosi rimpianti, di solitudini per scelta, per coincidenza o per vigliaccheria. Una storia che cambia, secondo il punto di vista di chi la racconta e che, in una Sicilia degli anni Cinquanta, in un paese dove tutti sanno ma nessuno dice, introduce lo spettatore, con raffinatezza, in amori cercati, voluti, inseguiti per una vita, di occasioni perdute, svanite e da racchiudere nel prezioso baule della memoria. Stiamo parlando dello spettacolo “Una sola storia”, tratto dall’omonimo romanzo della scrittrice agrigentina Elita Romano, nell’adattamento drammaturgico e regia di Tatiana Alescio, messo in scena al Teatro Canovaccio di Catania, nell’ambito della stagione di prosa 2014-2015, dalla compagnia Trinaura di Siracusa.
L’atto unico, in circa 60’, su un allestimento scenico essenziale (un tavolo, delle sedie, un calice, una bottiglia

di vino ed una scena riempita solo dal calore, dalla forza espressiva delle interpreti femminili) è caratterizzato dalla forza delle parole, da una storia amara, fatta di solitudini, attese, consapevolezza, rimpianti, amore e che coinvolge, in una Sicilia degli anni ’50, una famiglia borghese. Grazie all’adattamento ed alla raffinata e sensibile regia di Tatiana Alescio (già apprezzata lo scorso anno con “Io sono il mio numero”), in scena ed a tratti in sala, le tre protagoniste, tre donne (anche se una veste i panni maschili), raccontano agli spettatori, con grande pathos, una sola storia, ma in realtà si tratta di quattro vicende, ovvero è la stessa storia raccontata da prospettive diverse.
In un paesino dell’Agrigentino, con le sue regole, i suoi tempi, i suoi rigidi moralismi ed il suo non dire, si incrociano, si sovrappongono, infatti, da un lato la vita di un farmacista con moglie e figlio, dall’altro la realtà di una donna che lo ama e da cui è riamata. In questo intreccio di sentimenti, di solitudine, di vigliaccheria, di rimpianti soffocati, si delineano i caratteri, le debolezze, dei personaggi: il farmacista dottor Iraldi, per vigliaccheria, per paura di ferire, è diviso tra la moglie e l’amante; la signora Iraldi vive sapendo del tradimento del marito e si ritrova ogni notte a letto l’odore dell’amante del coniuge; la Tabaccaia Rosa, amante sensuale, che ama in modo clandestino, è abituata alla solitudine tanto da rifiutare la proposta di sposarla del farmacista quando questo resta vedovo e che saprà, solo per caso, dai clienti della morte del suo amante; il figlio del farmacista, Francesco, cresciuto in collegio, senza l’amore del padre, senza una vera famiglia “rifugio” e che ritrova la memoria del padre in Rosa, quando anche la sua storia familiare è diventata simile a quella del genitore.  Ed infine la solitudine più grande, l’inadeguatezza, la vigliaccheria sino alla fine, certificata dalle sue sincere ed inequivocabili parole, che richiamano Pirandello (rese, fuori campo, dalla voce di Mariano Rigillo): è quella del farmacista, del dottor Iraldi, colui che ha generato, con le sue scelte, con le sue indecisioni e paure, tutte le altre solitudini della storia.
“Per tutta la vita – dice il farmacista a fine spettacolo, con la voce di Mariano Rigillo - mi sono rifiutato di osservarmi, di leggere negli sguardi i desideri celati dell’anima. Nel timore che l’apparire soffocasse il mio essere, ho spezzato la mia identità in segmenti scollati tra loro. Mi sono creato strade vicine e parallele da percorrere contemporaneamente. In realtà esse si intersecavano in numerosi punti nei quali la mia identità tornava ad essere unica e tormentata dal confronto delle aspettative di un figlio, di una moglie, di un’amante. Un groviglio di passioni, frustrazioni, rimorsi e rimpianti ha distrutto i sogni in cui abbiamo creduto. Le rinunce sono state inevitabili. Ho preteso più di quanto fossi disposto a dare. Il bilancio impietoso della mia vita non mi assolve per il male arrecato. Non fu certo la generosità ad impedirmi di vivere compiutamente la mia vita…ma seppi fingere amabilmente anche con me stesso”.
Spettacolo intenso, reso sulla scena con grande sensibilità ed emozione dalle tre attrici siciliane: Giuliana Accolla nei panni della moglie tradita, Ersilia Saverino nel ruolo di Rosa, l’amante tabaccaia e Valentina Ferrante, abile a vestire i panni maschili del figlio del farmacista, Francesco.  Un plauso alla regista e drammaturga Tatiana Alescio che ha saputo interpretare, rispettare ed adattare per la scena, le intenzioni dell’autrice, offrendo al pubblico un lavoro godibile, interessante, pur raccontando una tragica storia borghese intrisa di indecisioni, silenzi, gelosie, ipocrisie e di tanta, troppa, solitudine che accomuna tutti i personaggi della vicenda.
Pubblico estremamente interessato e coinvolto e che, alla fine, ha lungamente applaudito le tre interpreti, la regista e la produzione per un lavoro che, incentrato sulla forza della parola, sicuramente fa riflettere sul caso, sulle conseguenze delle scelte o delle non scelte, sui mille aspetti della stessa storia e su quante solitudini possono a volte generare gli intrecci dei sentimenti umani.
L’allestimento e la direzione di scena sono affidati ad Antonio Paguni, i costumi sono di Mary Accolla, affascinante, fuori campo, è la voce di Mariano Rigillo, la produzione è di Trinaura Teatro. Lo spettacolo ha debuttato il 4 Agosto del 2013 alla Latomia dei Cappuccini di Siracusa, nell’ambito della rassegna “LatomiArte”.

“Una sola storia”
Tratto dall’omonimo romanzo di Elita Romano (edizione Sellerio)
Drammaturgia e regia di Tatiana Alescio
Con Giuliana Accolla, Valentina Ferrante ed Ersilia Saverino e con la voce di Mariano Rigillo
Scene di Laboratorio Trinaura
Costumi di Mary Accolla
Movimenti coreografici di Simona Miraglia
Allestimento e direzione di scena di Antonio Paguni
Pubbliche relazioni di Valeria Annino
Produzione Trinaura - Siracusa - Stagione Teatro del Canovaccio di Catania - 16/19 Aprile 2015