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All’Elfo Puccini arriva una babilonia di parole, immagini, espressioni, gesti, intorno alla figura di Gesù. Parole tratte dal linguaggio globale a cui tutti ormai siamo abituati. Espressioni figlie di una massificazione della parola che ridotta all’osso conta sempre meno. Tutto all’interno di una scatola pop, rock, punk, ben congeniata. Secondo gli obiettivi della compagnia ampiamente dichiarati. La compagnia pluripremiata (Premio Ubu 2011 novità italiana/ricerca drammaturgica- nomination Premio Ubu 2011 spettacolo dell’anno; Premio Hystrio alla Drammaturgia 2012 ;The Rerum Natura – progetto speciale da The end, 2012; Premio Enriquez Sirolo 2012 nella categoria Nuovi linguaggi di impegno sociale e civile, sezione Teatro di ricerca; Premio ANCT con Pinocchio, 2012) si confronta con la figura più narrata, ascoltata, pregata... dell’universo e lo fa con il suo particolare linguaggio asciutto, crudo, con il suo teatro nudo. Un teatro in cui non si raccontano storie ma immagini, sequenze, flash. Secondo uno

schema dissacrante, simbolico e riluttante. Il procedimento creativo è quello dell’avanguardia: antifrastico, per estrema sintesi e spostamenti laterali che vogliono stupire. Babilonia Teatri, dopo anni di ricerca e sperimentazioni, si muove nel solco di una tradizione del suo stesso rappresentare. I canoni sono quelli di The End gli interrogativi sul significato della morte e della religione esplicitano la visione della regia che si accosta a fenomeni noti senza snobismi, senza pretese di superiorità culturali. Valeria Raimondi incanta sempre con la sua capacità di catturare l’attenzione del pubblico, con la sua gestualità rude e un po’ malinconica, con i suoi silenzi e i suoi sguardi attoniti. E tuttavia il teatro pone comunque delle domande anche se non sempre trova delle risposte. L’interrogativo che mi pongo rispetto a questo spettacolo (che pure utilizza tecnologia nel suo linguaggio teatrale) è questo: le tecnologie ormai hanno imposto delle profonde trasformazioni nelle modalità di fruizione di tutti i fenomeni culturali, hanno modificato gli approcci e le visioni, come può il teatro essere alternativo e irriducibile all’interno di un sistema di diffusine culturale sempre più immediato e globale? Di una creatività che si consuma velocemente e che non ha più bisogno di apparati complessi? Occorre continuare a sperimentare, tracciando altre linee di ricerca altrimenti il rischio è di essere inglobati da un linguaggio che si vuole denunciare in qualche modo. In questa nostra società dello spettacolo globalizzato, il teatro è diventato l’unico luogo di resistenza critica, l’idea e la pratica della diversità più vera, profonda, umana, il luogo degli artigiani, del meccano (per dirlo con le parole di Luigi Allegri), ma non basta la passione, occorre cercare nuove strade altrimenti il rischio è riprodursi all’infinito, per questo c’è già la rete e la televisione. La scena si apre con le lettere a specchio che compongono la parola Jesus, così come le scriverebbe un bambino. Il testo parte proprio dalle domande di Ettore, ai suoi genitori, domande che tutti i bambini pongono sulla morte. Domande che rappresentano la vera ricchezza dello spettacolo la parte più emotivamente significativa, perché i bambini non hanno censure, perché i bambini sono già futuro sono corpo. Mio figlio quando era piccolo si interrogava spesso sul significato della morte: “Quando si muore tutti dicono che si va in cielo e va bene ...ma si va con la pelle o senza pelle?” I bambini sono presente e corpo reale e là che mio avviso andava spinta più a fondo la nuova ricerca di Babilonia Teatri.

JESUS
di Valeria Raimondi, Enrico Castellani, Vincenzo Todesco«I nostri spettacoli sono dei blob teatrali. Delle playlist cristallizzate. Uno specchio riflesso.»
Milano Elfo Puccini, 5 Maggio 2015