Talora è difficile, se non quasi impossibile rendere il colore ed il calore, in poche parole recuperandone la coerenza con l’occhio culturale contemporaneo, di eventi anche profondamente radicati nell’immaginario e nelle nostre collettive e personalissime strutture identitarie, però ingessati da tempo in una “retorica” fintamente storiografica. Il teatro ne ha invece i mezzi, estetici e sintattici, e lo dimostra questa interessante drammaturgia di Marco Andreoli e Daniele Timpano, in scena per cantiere Campana al Teatro della Tosse di Genova nella sola serata del 7 maggio, e lo fa anche ironizzando sul cosiddetto “teatro di narrazione”, smascherandone toni divenuti man mano un po’ stantii.
Così in una scena vuota ed in penombra, come appaiono di primo acchito i recessi di una memoria forse infantile, i due protagonisti, lo stesso Daniele Timpano e Valerio Malorni, ripropongono, anzi suggeriscono, con la mimica vivace e gli altrettanto efficaci movimenti recitativi e scenici
(una baraonda apparentemente confusa ma in realtà finemente costruita e controllata), quattro figure essenziali, i “padri” di quello che è storicamente definito “Risorgimento”, e cioè Garibaldi, Mazzini, Cavour e Vittorio Emanuele II, associando e loro contrapponendo, a mo’ di prospettiva significativa, il pontefice Pio IX, il suo “antipapà” come scrivono sul libro di scena.
Ben scritto, con monologhi dialoganti che pescano a piene mani nei tic e nelle convenzioni della contemporanea comunicazione, di massa o meno che sia, lo spettacolo si sviluppa in scena miscelando alle posture della memoria storica una lingua interiore, ironica e dissacrante, con un effetto alienante che però abbatte barriere e ci consente di guardare dentro, recuperandola, ad una umanità esistenziale paradossalmente vicina al nostro quotidiano, con le sue tensioni e le sue pulsioni spesso vanamente liberatorie.
Le quattro figure cessano così di essere assenti, sfuggendo all’esilio in cui la retorica le ha condannate e continua a condannarle, e con la presenza acquistano inaspettata corporeità, quasi una materialità concreta come in un gabinetto di vivisezione, tanto che lo stesso Mazzini è presente, ben al centro del roteare della drammaturgia, in ossa e cadavere malamente mummificato e nottetempo sottratto al suo riposo di Staglieno.
L’effetto paradosso si fa così da straniante a profondamente comico, accompagnando la risata sempre più aperta la riscoperta di una condivisione, di senso e identificazione, con un mondo che si voleva perduto e che invece ci è molto vicino appunto nella umanità, fatta di speranze e ideali ma anche di limiti e cadute, di quegli stessi personaggi, recuperata proprio attraverso il loro essere apparentemente sbeffeggiati.
La recitazione di Timpano e di Malorni, bravi nella mimica e nella gestione della voce, ha toni di surreale che consentono la rigenerazione scenica anche della sintassi più banale o dello scherzare più greve. Un testo ed una rappresentazione giocata dunque sulla contrapposizione, etimologicamente sussunta dalla stessa definizione di “Risorgimento”, tra morte apparente e vita concussa da una continua mummificazione delle identità, e dunque così vicina alla sensibilità corrente. Due attori, cinque presenze ed un assente, quell’Italia che non sembra rispondere ad alcun appello.
I drammaturghi curano anche la regia all’interno del progetto grafico di Pierluigi Rauco e avvalendosi di una efficace scenografia sonora in cui, accanto ai temi forti del nostro risorgimento a partire dall’Inno di Mameli, ben si inseriscono le musiche originali di Marco Maurizi. Ideatore e costruttore della “mummia” di Mazzini, che perde pezzi in scena, è Francesco Givone.
Con la collaborazione artistica di Elvira Frosini, è una produzione congiunta della compagnia Frosini/Timpano amnesiA vivacE, Circo Bordeaux, RialtoSantambrogio e Voci di Fonte – Festival di Siena, disegno luci di Marco Fumarola.
Un bello spettacolo, divertente senza banalità, che replica linguaggi televisivi ridefinendoli nella sintassi teatrale. Molte risate e molti gli applausi mentre i protagonisti distribuivano al pubblico così conquistato piccoli tricolori con stemma papalino e invito a non demordere (“Coraggio”). Uno spettacolo che conferma il successo di “Zombitudine” debuttato alla Tosse lo scorso anno ed ora in tournée in tutta Italia (a proposito, quella “risorta” un secolo e mezzo fa. Oppure no?).