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Che il lavoro teatrale del drammaturgo e poeta Piero Ristagno, della regista Monica Felloni e del vasto ensemble che nel tempo s’è variamente raccolto intorno a loro (la compagnia “Neon Teatro”) sia di primissima qualità è apparso chiaro sin dagli inizi della loro attività artistica: l’idea forte, che fonda e innerva questa esperienza, è la totale, consapevole e convinta valorizzazione della diversità (di ogni tipo di diversità: fisica, culturale, affettiva) non come ostacolo o problema da risolvere o superare, ma come feconda piattaforma artistica su cui operare con gioia vera, con libertà, con coraggio. Da questa idea sono scaturiti negli anni

spettacoli strepitosi che hanno incontrato il favore di un pubblico grande e variegato e della critica più avvertita. E, come non è apparso incongruo, l’estate scorsa, vederli presentare il loro Magnificat sulla scena prestigiosa del Teatro Antico di Taormina, così sembra giusto che questa esperienza si sia ripetuta anche quest’anno con lo spettacolo Ciatu che s’è visto venerdì 21 agosto sulla medesima scena e di certo si continuerà a vedere nella stagione prossima in diversi contesti nazionali. Si tratta di un lavoro importante di teatro-danza con un numero davvero grande di protagonisti (attori, danzatori, presenze video «dai sei ai centosei anni») che, nel solco delle consolidate caratteristiche espressive della compagnia – ovvero: la strutturale “diversità” degli artisti in scena, il senso acutissimo della poesia, l’ironia, la leggerezza, il ritmo come anima dello spettacolo -, ripercorre momenti e aspetti salienti dell’ avventura umana e intellettuale del filosofo panteista Giordano Bruno (1548 – 1600) per ribadire, con entusiasmo liberatorio, che nella realtà più profonda della vita umana e di quella universale (nello spettacolo questa realtà è chiamata “Ciatu”, con una bella parola del dialetto siciliano che equivale a fiato, respiro universale, vento, soffio vitale, tutto ciò che nella Bibbia è espresso col termine ruah ) non esiste il “problema” della diversità e che, se pure esso esiste nella nostra esperienza pratica (quotidiana, politica), ciò accade solo per una sovrastruttura culturale semplificatoria, oppressiva e violenta (Bruno morì arso vivo dopo che la chiesa l’ebbe condannato per eresia, ma fu coraggioso e non rinunciò mai alle sue idee). Inutile dire quanto possa essere attuale quest’atteggiamento, quanto sia cogente la riflessione sul dolore infinito che tutto ciò ha provocato nei secoli e continua a provocare (e nello spettacolo questa riflessione ha una parte importante) e quanto sia emozionante invece vedere come la diversità, se messa consapevolmente e coraggiosamente a valore (torna ancora il concetto chiave del coraggio), possa produrre gemme di assoluta meraviglia (si confermano tra l’altro nello spettacolo per la loro intensità e qualità d’arte le presenze di Danilo Ferrari e di Alfina Fresta, nonché quella del potente lavoro di Manuela Partanni, danzatrice e motore infaticabile dell’intero gruppo in scena). Resta però in questo lavoro anche un leggero senso di vuoto, una sensazione dovuta probabilmente a dei momenti di calo della tensione ritmica interna e/o, forse, a un’eccessiva, ed eccessivamente allusiva, sinteticità (che si tramuta inevitabilmente in apparente debolezza) della costruzione drammaturgica rispetto all’incoercibile e immaginifica grandiosità dell’ opera del filosofo nolano.

Compagnia “Neon Teatro”.
Regia di Monica Felloni. Testi originali di Pietro Ristagno, Danilo Ferrari, Stefania Licciardello, Manuela Partanni, Chiara Tinnirello. Movimenti scenici di Manuela Partanni. Videoscenografia di Jessica Hauf. Costumi di Gaetano Impallomeni. Luci di Francesco Noè.

Foto Daniele Trovato