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Il primo dei due dittici che hanno costituito e costruito l’opera musicale “Il Giocatore” presentata lo scorso anno al festival OPERA NOVA di Spoleto, e già allora recensita, è diventato una drammaturgia autonoma che ne compendia e integra la narrazione. Con questo lavoro Marco Martinelli, con pochi ritocchi registici e di scrittura scenica, si concentra sull’oscurità, l’oscurità della morte e l’oscurità del nostro inconscio. È una oscurità pesante a mala pena rischiarata dai flebili richiami (la terra ed i suoi all’apparenza modesti frutti di vita) ad una comune radice di compassione che sembra permanere anche nel fondo di questa fossa che ci siamo costruiti. Un richiamo che coinvolgendo

l’essenza stessa di una umanità in perenne viaggio ed in perenne pericolo attenua nella comune responsabilizzazione la facile tentazione di un giudizio o meglio di un pregiudizio moralistico, così lontano dalla sensibilità di Marco Martinelli eppure così diffuso e permeante una Società che vuole allontanare nel capro espiatorio le sue colpe, senza elaborarle.
Il tema o problema del gioco è infatti un filo rosso che attraversa l’umanità, nella sua storia ma anche nella sua essenza, e per questo attraversa anche la letteratura, dal richiamo più agevole al racconto di Dostoevskij al Pirandello del “Fu Mattia Pascal”, nel segno comune della riflessione pascaliana, prossima credo alle suggestioni di Martinelli e delle Albe, della vita come continuo azzardo, come gioco in bilico tra vita e morte.
Radici antichissime che però hanno prodotto e purtroppo producono in continuazione fronde tragicamente moderne che, come sappiamo, attraversano giornalmente la cronaca di questa nostra Italia.
Qui, però, questo contadino romagnolo dalla parola diretta e pungente, ribalta ogni paradigma consueto rifiutandosi di essere non solo una vittima sacrificale, dei benpensanti che alimentano in fondo quel circuito ben poco virtuoso, ma la vittima “tout court” per diventare non tanto giudice quanto narratore lucido delle nostre responsabilità.
Responsabilità non solo come comunità, con uno stato che si fa lui stesso biscazziere (e qui la denuncia è diretta e senza appello) ma responsabilità di ciascuno di noi quando siamo posti di fronte alla scelta, alla scelta che possiamo nasconderci ma che non possiamo eludere.
Lo avvolge l’oscurità, l’oscurità di un inferno dantesco trasfigurato in fossa abbandonata nella campagna su cui la galaverna persevera cattiva, e l’oscurità di un inconscio che ci risucchia, “poveri cretinetti” o “sfigati”. Da questa oscurità alla fine nasce il rifiuto, il rifiuto di quei ruoli senza alternativa per ripensare il nostro giudizio su di lui e su di noi.
Come in altre sue prove, questa drammaturgia ideata a quattro mani da Marco Martinelli e Ermanna Montanari non giudica e invita a non giudicare e in questo nasconde e protegge una opportunità, una volontà e una possibilità di riscatto che non sono mai perdute soprattutto nell’approssimarsi della morte, la possibilità e l’opportunità di una scelta.
Dell’opera lirica il regista Marco Martinelli conserva la bellissima musica di Cristian Carrara, che l’avvolge e trasforma quella fossa quasi in un caldo giaciglio, e introduce con breve e intenso tratto di scrittura la terra, quella terra nera e feconda della Romagna, trasformata in denaro dalle convenzioni borghesi, ma conservata come ultimo tesoro nelle tasche del giocatore sconfitto.
In scena, solo ma in nostra partecipata e commossa compagnia, il bravo Alessandro Argnani con la sua voce aspra che asseconda un scrittura aspra, in perenne lotta contro la sua trasformazione animalesca per scacciare e trasfigurare le strane risate, quasi grugniti, che ne accompagnano l’entrata in scena e dunque per esorcizzare quel mostro interiore che lo divora e che tutto intorno a lui consuma. Travolto ma ancora lucido, paradossalmente lucido di fronte alla spirale di menzogne e tradimenti che lì, in quella fossa, lo ha condotto.
Come detto l’ideazione è di Marco Martinelli, che cura la regia, e di Ermanna Montanari, che cura lo spazio scenico e i costumi. Luci e fonica sono di Fabio Ceroni, Enrico Isola e Luca Pagliano, l’allestimento scenico è a cura della sempre impeccabile squadra tecnica delle Albe.
Una produzione del teatro delle Albe in collaborazione con l’associazione Olinda, vista negli spazi dell’ex Ospedale Psichiatrico Paolo Pini ove ha esordito in prima nazionale lo scorso 30 Ottobre e ove resterà in cartellone fino all’8 novembre, molto apprezzata dal pubblico presente.