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Giuseppe Patroni Griffi non abbandona il palcoscenico del Teatro Mercadante di Napoli. Dopo aver assunto lo scettro di Teatro Nazionale, anche quest’anno il Mercadante inaugura la nuova stagione, con il debutto nazionale del testo di Patroni Griffi, IN MEMORIA DI UNA SIGNORA AMICA, in scena dal 28 ottobre al 15 novembre, nell’adattamento e regia di Francesco Saponaro. Cast d’eccezione per questo spettacolo che sembra dividere inizialmente il giudizio del pubblico, il quale, a priori, si schiera tra spettatori d’abbonamento, cultori del teatro “classico”, estimatori delle sperimentazioni e della nuova drammaturgia. Ma tutti si riuniscono in platea e, chi più, chi meno, partecipa come spettatore, sia esso colto e interessato all’analisi di questo prodotto artistico, sia esso un semplice curioso. Diciamo la verità: quando alcuni

colleghi hanno definito questo spettacolo “finalmente normale”, credo intendessero dire che, a volte, nel corso di una prolungata osservazione dello sperimentalismo scenico e drammaturgico, piuttosto eterogeno e confuso, per quanto riguarda i nostri tempi, ogni tanto, dunque, bisognerebbe osservare anche spettacoli come questo. Volutamente “classico”, anche se in alcuni momenti eccessivamente rigido, esso si avvale di alcuni degli attori, e soprattutto delle attrici, che caratterizzano la storia del teatro napoletano ed italiano degli ultimi anni, con l’avvento di alcuni giovani, e di giovanissimi, davvero promettenti. La storia della donna napoletana e di quel dopoguerra così tanto narrato da numerosi autori, non ultimo Curzio Malaparte, sembra però, nel testo di Patroni Griffi, andare oltre gli anni immediatamente successivi alla Seconda Guerra Mondiale. Il testo debutta nel 1963, con la regia di Francesco Rosi, negli anni in cui il boom economico e la ripresa italiana caratterizzavano la cultura e lo sviluppo sociale del nostro Paese. Se da un lato l’autore sembra descrivere un microcosmo napoletano, che svela gli espedienti di sopravvivenza, frequenti durante la guerra e il dopoguerra, dall’altro mostra gli effetti dei repentini cambiamenti, nei decenni successivi. Nella scena si apre uno squarcio metaforico, non solo temporale, tra passato e futuro, perché il presente non è ancora identificabile, ma soprattutto uno visivo, come quello sul golfo di Napoli, e quelli, quasi impercettibili, sulla carta da parati, sui vestiti, sulle calze ed i collant, sulla tovaglia, sulle stoffe dei lampadari. Quest’ultimi non sembrano stabili, la luce traballa, così come traballano le gambe dei personaggi più anziani e di quelli più giovani che cercano di oltrepassare la soglia e gli scalini, metafora di quello spartiacque storico e sociale che è appunto la guerra. Gli ambienti serrati raccontano la storia di una donna che vende e svende vita e casa pur di guadagnare e sopravvivere, attorniata da un gruppo di amiche, da un figlio che vuole lasciare Napoli, da una prostituta - serva, da un anziano e burbero maestro che guarda all’innovativa dodecafonia di Schoenberg ma muore, dal giovane amante della moglie del maestro, e da un ragazzo che, invece, vuole continuare a vivere nella città partenopea. Squarci e spartiacque sembrano identificare i due momenti, temporali e geografici, poiché i quattro quadri che caratterizzano il testo, si alternano tra gli interni di una casa napoletana, sfilacciata, scrostata e traballante, ed una romana, lucida, composta, silenziosa, quasi un mausoleo funereo, dove vivono il figlio, la moglie ebrea, ed infine, per un breve periodo, anche la madre. Nessuna innovazione stilistica emerge, però, nella distinzione tra i due momenti, temporali, geografici e scenici, volutamente descritti come speculari ma non sovrapponibili. Se la guerra ha “squarciato” il passato napoletano, ancora legato alla flebile sopravvivenza, gli anni ’50 e ’60 hanno creato un’Italia nuova, il cui modello è la Roma borghese della “Dolce Vita”. Ma gli squarci, si sa, anche se ricuciti, rimangono e persistono in profondità, e nonostante l’apparenza possa sembrare “rattoppata”, il ricordo di un passato vissuto, sebbene il ricordo è ormai traballante, è un punto di riferimento fondamentale. L’osservazione del futuro è l’elemento che unisce, sotto diversi aspetti, tutti i personaggi, dal figlio che lavora in radio e fugge per cambiare vita, ma dimentica il passato – alter ego dello stesso autore -, alla giovane prostituta che sarà sempre una serva, sia a Napoli che a Roma, alle amiche della protagonista, fondamento solido di quella sopravvivenza che ricuce gli squarci e che continua a vivere. La morte e le sedie cadute, la casa e il ricordo, il golfo di Napoli, l’alternanza tra lingua napoletana e italiana – compresa l’artificiosa e rigida lingua napoletana, pronunciata da una parlante non nativa, cioè l’attrice protagonista Mascia Musy - non sono elementi legati ad un banale campanilismo, e proprio qui sta la bellezza del testo. Lasciare una città d’origine, che ormai è decaduta, per un’altra che rinasce ma dimentica? Cosa è davvero vivo, cosa davvero vivrà ancora? L’emblematica scena finale, che racconta la morte della donna, la quale ha deciso di vivere i suoi ultimi anni a Napoli, allontanandosi dal figlio e dalla sua vita romana, è “incorniciata” dalla Napoli del futuro, interpretata e rappresentata da Eduardo Scarpetta, promettente attore ventenne, dal cognome importante, ma è caratterizzata soprattutto dall’entrata in scena di tutti gli attori, spiriti muti che ricordano certamente i “Sei personaggi in cerca d’autore”. Ottima interpretazione anche quella dell’altrettanto giovane protagonista, Edoardo Sorgente. Un plauso è rivolto a tutte le donne di questo spettacolo, ma soprattutto a Imma Villa e a Fulvia Carotenuto, per aver dimostrato, ancora una volta, la grande esperienza sulla scena, attraverso un realismo non affettato ma elegante, che permette alle due attrici di non cadere nella “trappola” di una veracità partenopea eccessiva, poco consona, in verità, allo stile dell’intero spettacolo e dello stesso testo.

Foto di Marco Ghidelli (particolare)

TEATRO MERCADANTE NAPOLI
28 OTTOBRE- 15 NOVEMBRE
IN MEMORIA DI UNA SIGNORA AMICA
di Giuseppe Patroni Griffi
regia Francesco Saponaro
con Mascia Musy (Mariella Bagnoli), Fulvia Carotenuto (Gennara), Imma Villa (Urania e prostituta) Antonella Stefanucci (Margherita e prostituta), Valentina Curatoli (Antonia e prostituta), Edoardo Sorgente (Roberto, figlio di Mariella), Eduardo Scarpetta (Alfredo, amico di Roberto e Pascariello), Tonino Taiuti (Il maestro, marito di Gennara), Clio Cipolletta (Pupatella la cameriera e prostituta), Carmine Borrino (Michele, amante di Gennara), Giorgia Coco (Olga, ragazza di Roberto), Giovanni Merano (Un soldato americano), Anna Verde (Ester, moglie di Roberto)
scene e costumi Lino Fiorito
luci Cesare Accetta
musiche composte ed eseguite al pianoforte da Mariano Bellopede
aiuto regia Peppe Bisogno
assistente alla regia Giovanni Merano
assistente ai costumi Anna Verde
direttore di scena Silvio Ruocco
macchinista Alessio Cusitore
elettricista Fulvio Mascolo
fonico Paolo Vitale
sarta Simona Fraterno
foto di scena Marco Ghidelli
sartoria Ass. Factory costume
scenotecnica Retroscena
produzione Teatro Stabile di Napoli