Che cosa sia oggi la critica teatrale è un tema molto sentito, ma paradossalmente quasi sempre evitato nella discussione tra operatori e fruitori di teatro, come se la crisi universalmente riconosciuta del teatro ed insieme la straordinaria vitalità che quello stesso teatro dimostra e quella stessa crisi produce, avessero ottuso i tradizionali strumenti di analisi senza sostituirli con altri altrettanto accettati e riconosciuti. Il centro culturale “il Funaro” di Pistoia, al contrario, vuole affrontare il problema, smascherandolo in un certo senso, e lo fa con questo convegno innanzitutto ribaltando l’approccio logico, non “la critica del teatro” bensì “il teatro della critica”, e “mettendo i piedi nel piatto” come titola l’intervento di Goffredo Fofi, cerca di verificare e invita ad approfondire se in fondo è il teatro ad aver bisogno della critica teatrale, più di quanto la critica teatrale
abbia bisogno del teatro.
In effetti, ed è il paradosso che il convegno cerca di sottolineare ed insieme “sciogliere”, è proprio la critica teatrale che sembra oggi in molte sue forme poter prescindere dal teatro e dal suo approfondimento per scivolare progressivamente nella semplice attività di promozione, la “pubblicità” come indicato in alcuni interventi ovvero la “demagogia teatrale”, mutuata talora nell’imitazione di altre forme dello spettacolo contemporaneo.
La crisi del teatro dunque come postumo della crisi della critica teatrale? In senso lato potrebbe sembrare questo l’assunto di fondo, che vedrebbe nell’interruzione di quel fecondo circuito di condivisione tra “teatranti” e “critici” uno dei motivi latenti di un progressivo allontanamento del pubblico, al quale, in un certo senso, è venuto a mancare un rappresentante riconosciuto per non dire “legittimato”.
In effetti, come ho avuto modo di sottolineare in altro contesto, la critica teatrale contemporanea tende infatti a talora ridimensionare, al di là del problema degli spazi di diffusione, il proprio raggio di azione agli elementi più direttamente spettacolari ovvero più direttamente connessi alla rappresentazione, avendo come precipuo riferimento la reale o supposta capacità di attrazione sul pubblico. In realtà, a mio avviso, la critica teatrale più consapevole non può prescindere da una valutazione piena di tutti gli elementi che costruiscono uno spettacolo teatrale, dalla drammaturgia alla regia, dalla scenografia alla recitazione, nei loro legami reciproci e nelle influenze che, più in generale, subiscono o attivano rispetto alla cultura, alla società e alla stessa accademia, per correttamente articolarli, evidenziarli e farne, con onestà intellettuale, partecipe il pubblico anche ai fini di un suo più attivo coinvolgimento.
Sembrerebbe dunque conseguente pensare che la crisi della critica teatrale sia una crisi di legittimazione che nasce dalla combinazione della flessione della editoria tradizionale, in diffusione e numero di lettori, che riduce numeri e spazi e da una collegata crisi di autorevolezza (numeri e spazi sono anche potere) dei soggetti che vi operano.
Da tutto questo sembra nascere una sorta di rifugio in un passato che nei fatti non è più, rifugio che si alimenta quasi nel culto dei grandi critici di allora, e parliamo del passato piuttosto recente di Quadri e Bartolucci senza risalire a Gramsci o Gobetti, che esercitavano i loro strumenti critici cercando di condividere l’intero processo creativo, culto e rimpianto che talora produce una sorta di ironico snobismo rispetto ai nuovi processi attraverso i quali, anche con coraggio, la critica teatrale cerca di recuperare il suo ruolo, sia nei confronti di chi fa teatro che nei confronti del pubblico che il teatro deve necessariamente completare.
Non va infatti dimenticato che molti dei personaggi ricordati con affetto sincero e nostalgia, e che molto ci mancano, da Carmelo Bene a Franco Quadri, non sempre in vita ebbero gli stessi riconoscimenti senza sfumature, e questo dovrebbe richiamare la prudenza a non giudicare l’oggi con uno sguardo troppo supponente che spesso penalizza non tanto il critico quanto chi il teatro lo vive a partire dall’attore su cui sembrano inevitabilmente scaricarsi senza mediazioni crisi e conflitti.
In questo senso la critica teatrale sul web, citata e approfondita in alcuni interventi e che è risultata in un certo senso il convitato di pietra del convegno, può offrire strumenti e possibilità che a partire dal medium, che come noto influisce anche sul messaggio, recuperino elementi di comunicazione, condivisione e approfondimento a partire dallo spazio/tempo in grado di mettere a disposizione di artisti e critici.
D’altra parte la rete, nel consentire positivamente spazi più ampi per le riflessioni anche sul teatro, sancisce una libertà di intervento praticamente illimitata e priva di filtri, con effetti in verità talora paradossali che quella libertà rischiano di trasformare in anarchia senza vero valore. Uno degli elementi che credo possa contribuire a rendere più ordinata ed efficace la critica teatrale in rete, salvaguardandone la capacità di una più ampia e diretta diffusione, è in fondo un contributo che viene dalla tradizione e cioè l'autorevolezza della “testata” che ospita gli interventi, autorevolezza che è quasi spontaneamente sancita attraverso la selezione che il tempo, giudice imparziale, alla fin fine effettua. Una tale autorevolezza è frutto della capacità di chi scrive su quella testata ed insieme garantisce lo stesso lettore o navigatore web circa la qualità di ciò che vi legge.
Così, attraverso una sorta di selezione “naturale”, anche la rete è in grado ora, al pari e forse più della stessa critica tradizionale, di sviluppare quegli elementi che consentono, citando il libro di Daniele Giglioli di cui alla presentazione di Piergiorgio Giacchè del convegno stesso, di far sì che la critica non sia solo “il biasimo o il giudizio, ma anche discernimento, vaglio, setaccio, delimitazione di ciò che si può o non si può dire”.
Anche in rete in fondo, come detto, il tempo è giudice imparziale per far sì che continuiamo ad “essere pesci nell’acqua” come dal titolo dell’intervento di Lorenzo Donati.
Il punto pertanto è quello di ripristinare un circuito fecondo e reciprocamente produttivo tra il teatro ed il suo pubblico attraverso una critica teatrale, in rete o extra rete a seconda delle opportunità, che recuperi la sua capacità di essere come uno specchio all'interno del quale l'artista può cogliere elementi della sua opera non consapevoli nella fase immediatamente creativa, in quanto risultato e frutto del rapporto con il contesto che ne circonda e determina la fruizione. Questo è particolarmente importante per l'artista teatrale, drammaturgo, regista o attore che sia, in quanto è solo nel contatto e nella fruizione attiva del pubblico, cui è destinata, che la sua opera si realizza compiutamente.
Un convegno coraggioso, ben organizzato e dunque utile, in collaborazione con la Associazione Teatrale Pistoiese negli spazi del centro culturale a Pistoia, nel giorni 14 e 15 novembre.