Si pensa, in genere, che l’infanzia sia il tempo della fantasia e della bontà, della fantasia senz’altro, della bontà non sempre. I bambini non sono naturalmente buoni, anzi spesso convogliano le loro energie verso sentimenti di odio, invidia, gelosia, emozioni allo stato puro. L’infanzia come tempo di battaglie, di affermazioni, di scontri. È bene ricordare un libro che tratta queste tematiche a fondo “Co-ire. Album sistematico dell’infanzia” scritto da Schérer e Guy Hocquenghem. I due autori, citando fonti ed esperienze diverse, parlano del bambino come di un essere errante, nomade, selvatico, desideroso di sperimentare di andare fuori dalla gabbia. L’infanzia come desiderio di libertà e di riscatto,
come voglia di ribellione, sfida continua. È dall’idea di infanzia, così concepita che si può ripartire per rifondare e ripensare una società più giusta, più umana, più spontanea e creativa. “La stanza dei giochi” parte da questa consapevolezza dalla forza sovversiva dell’infanzia, dal desiderio di disubbidire, di dire sempre no e attraverso il gioco di due bambini racconta anche i conflitti dei grandi: il possesso, la diversità, la ricerca di momenti di solidarietà. Due bambini litigano, fanno pace nella loro stanza tutto avviene nel giro di poche ore ma forse il tempo è dilatato è un tempo storico che va oltre il tempo della rappresentazione.
Scena Madre che ha alle spalle un lungo percorso di teatro nelle scuole per e con i bambini, parte dai desideri infantili per raccontare anche il mondo dei grandi. Potremmo parlare di pedagogia teatrale in questo particolare caso. Ma dobbiamo fare attenzione ad accostare i due termini poiché si tratta di due campi differenti “pedagogia” e teatro”. Entrambi gli ambiti, per motivi diversi, sono problematici, critici, dai confini indefiniti. La pedagogia è “scienza” del tutto particolare, ostile ad una definizione scientifica. Il teatro è “arte” dimensione dal vivo che caratterizza e rende inafferrabile, irripetibile ogni rappresentazione. Lo spettacolo premio Scenario Infanzia 2014 Premio Dallorso per il teatro 2015, tiene insieme con grande abilità questi due mondi. In forma realistica affronta temi cari alla pedagogia: riproduce i litigi le discussioni, i “facciamo finta che” dei bambini, e nello stesso tempo lo fa utilizzando i mezzi teatrali. Marta Abate e Michelangelo Frola con estrema delicatezza costruiscono un testo che parla agli adulti, ai bambini e al bambino che è ancora in noi. Per non dimenticare la nostra stanza dei giochi e i sogni che avevamo a quel tempo: quelli che si sono realizzati quelli che si sono trasformati, quelli che sono rimasti sogni. I due piccoli attori Elio Ciolfi, Emma Frediani, con decisione e senso delle pause interne al racconto, discutono, litigano, fanno pace; mentre li guardiamo muoversi in quella piccola stanza dei giochi pensiamo che cosa abbiamo perso della nostra stanza dei giochi che cosa abbiamo perso della nostra infanzia. L’effetto è quello di un rito catartico e rigenerante in cui gli adulti e bambini incontrano sé stessi. La musica e le luci sottolineano passaggi di tempo e contribuiscono a creare in quella semplice stanza dei giochi un universo fantastico, irreale, immaginario. Il testo presenta potenzialità metafisiche e visionarie che si apre ad ulteriori sguardi scenografici e rappresentativi. La stanza dei giochi potrebbe valicare tempi e luoghi e diventare la stanza del gioco. Quale? Il gioco teatrale per esempio.
Milano, Campo Teatrale, 15 novembre 2015