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Necroscopia, autopsia: cominciamo con l’indicare questi due termini, “rubati” al programma di sala. L’ossimorico titolo che indica l’amore per qualcosa che non c’è, fornisce altri elementi, utili all’approccio con questo testo e questo spettacolo. In genere, in effetti, l’amore per ciò che potrebbe essere e non è, diventa lacerazione. Quella stessa che si trasforma, a sua volta, in dissezione, non solo di un corpo e di un organo, ma di un intero rapporto e di una vita. L’intero racconto è pervaso da una profonda ironia che spinge, più volte, gli spettatori a ridere apertamente. Dialogo serrato, veloce, angosciante, senza respiro, ci rimanda al ricordo dell’altrettanto angosciante “Clôture de l’amour” di Pascal Rambert, testo e spettacolo della passata stagione, in cui l’ironia non sembrava, però, minimamente affiorare, sebbene il testo coinvolgesse il pubblico

con grande intensità e commozione. Lo spettacolo di Luciano Melchionna, autore anche del testo, debutta nella scorsa edizione di Benevento Città Spettacolo: L’AMORE PER LE COSE ASSENTI, torna a Napoli dal 27 al 29 novembre, presso il Teatro Nuovo di Napoli. La dissezione di un rapporto e di un sentimento porta in scena un cuore, non solo simbolico ma fisico: incombente, enorme, imbrigliato, intrappolato in una rete che scende dall’alto. Quello stesso cuore che gestisce, giudica, guida, distrugge e riunisce, due personaggi, uomo e donna, e due corpi. Il cuore che echeggia nel buio della sala, che diventa colonna sonora, mescolandosi alle belle musiche originali di Stag, nasce da un’idea di Roberto Crea. Uomo e donna ed un cuore: simbolo di ciò che è alla base del nostro essere, del nostro passato e futuro, della nostra evoluzione. L’uno e trino che, qui, pronunciamo con profana osservazione terrena. L’amore, oggi, non è posto sulla scena teatrale come rapporto costruttivo. L’amore è sgretolamento, rapporto conflittuale, è allontanamento, ma nonostante tutto, è ancora inteso come amore. Magra consolazione per una società che intende ormai il rapporto come sicuramente destinato a svanire, ma proprio per questo motivo più consono ai nostri tempi. Una festa di compleanno: il regalo del (secondo) marito/compagno – la seconda opportunità è sintomo di un’impossibile evoluzione univoca di un rapporto – è il distacco. La donna è lasciata, dando il via ad un flusso inesauribile di parole, interpretate e vomitate da due ottimi attori, Giandomenico Cupaiolo e Autilia Ranieri. I due personaggi, simbolo dell’umanità contemporanea, sembrano attende un disfacimento: la donna rimane sorpresa, dolorosa, si inasprisce, ma il motivo è un altro. La gerarchia dell’abbandono entra in gioco, poiché proprio colui o colei che fa la prima mossa, verso il disfacimento, dimostra il potere. Il paradosso sta proprio qui: la consapevolezza che nel rapporto amoroso sia necessariamente implicato il disfacimento, rende la coppia attraverso un’immagine doppia e contrastante. Il circolo vizioso caratterizza l’intero racconto, che si apre con un’unione in via di disfacimento, e si richiude con un’unione che mai sarà tale. L’ambiguità del rapporto e l’aleatoria visione dell’amore rendono il tutto imprevedibile. L’ironia del racconto non elimina, però, il sovrabbondare di luoghi comuni e dell’ovvietà di alcune frasi, che allontanano l’attenzione dello spettatore, per poi recuperarla in extremis. Le ripetute citazioni sulla maschera pirandelliana, il riferimento a Moravia, l’espressione “last but not least”, il riferimento conclusivo ad Euripide – in un gioco di falsa modestia –, la citazione di Frida Kahlo, il riferimento a Schopenhauer e al “velo di Maya”, riempiono il testo di elementi che, in realtà, sembrano essere superflui. Il pubblico comprende il “gioco” testuale, ne afferra la profonda ironia dolorosa, anche in assenza di grandi nomi. L’autore sceglie di introdurre un personaggio femminile, denominato simbolicamente “Her”: il prologo e l’epilogo, così esplicitamente definiti, sono affidati ad Her, che spiega al pubblico cosa succederà, cosa è successo, e cosa potrebbe succedere ancora. Ci si chiede quale sia la funzione di questo personaggio che, secondo i dettami della tragedia greca, sembrerebbe impersonare il corifeo e comunicare con gli spettatori, attraverso un dialogo diretto, lunghi “a parte”, invitando il pubblico a scrivere all’indirizzo mail riportato sul biglietto allegato al programma di sala: gli spettatori potrebbero “fornire”, dunque, ulteriori epiloghi. In realtà, la schiettezza del testo sembrerebbe già dire molto e l’interpretazione degli attori rende in scena la morfologia variegata e complessa del rapporto sentimentale. Ogni orpello decorativo, ogni citazione, ogni personaggio aggiunto, è un surplus che “distrae” dalla profondità dolorosa del discorso portato in scena, seppur attraverso la scelta originale dell’ironia. Il pubblico ride, con gesti di assenso, si riconosce in alcune parole, in alcune frasi che i due attori si scagliano l’uno contro l’altra, e viceversa, commenta a fine spettacolo, definendo il testo profondo e intimo. Questo, dunque, potrebbe bastare: un antro oscuro, una caverna psicanalitica, un cuore, talamo di amore e morte, sui cui si riuniscono un uomo e una donna. Due corpi che non appaiono come contenitori di cuori, ma essi stessi sono contenuti e fagocitati dal cuore gigante.

Foto Attilio Cusani.

L’AMORE PER LE COSE ASSENTI
TEATRO NUOVO NAPOLI
27 – 29 novembre 2015
Ente Teatro Cronaca Vesuvioteatro
presenta
L’amore per le cose assenti
di Luciano Melchionna
con
Giandomenico Cupaiuolo e Autilia Ranieri
e con la partecipazione di HER
costumi Milla
musiche originali Stag
scene Roberto Crea
assistente alla regia Sara Esposito

regia Luciano Melchionna