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A poco più di cinque anni dalla morte il Teatro Stabile di Genova propone questo ricordo in drammaturgia di Edoardo Sanguineti, più che un spettacolo di o tratto dai testi del poeta genovese, una sorta di suggestione in scena intorno ad Edoardo Sanguineti. Una suggestione trasferita ai confini della morte e di un al di là mai definito ma pieno di corrispondenze segniche e simboliche, che stempera nel ricordo le asperità e le asprezze di una vita sempre nel segno della ricerca e di una operatività artistica, nel senso più ampio della parola quando sconfina anche nel polemos della politica, che ne ha caratterizzato il percorso esistenziale che talora ho brevemente condiviso. Certamente non un travestimento nel senso sanguinetiamo del termine, da cui i due drammaturghi Pino Petruzzelli e Giuliano Galletta sembrano essersi ritratti quanto meno per rispetto,

ma una sorta di collage che mescola la scrittura di Sanguineti con la parola poetica tout court, classica e contemporanea, a ricercare forse, anche al di fuori del testo, un senso sovra-contemporaneo e metafisico nel suo operare storico.
Certamente la metafisica di Edoardo Sanguineti era ben incardinata, fin sigillata, nella sua scrittura concreta che articolava e mutuava una parola percepita quasi come una esistenza concreta ed autonoma cui offrire un percorso di verità.
In questo senso è forse il suo teatro l’ambito in cui questa ricerca ha trovato la più puntuale applicazione, confondendo e mescolando sintassi e stimoli, se non progetti esistenziali ed organiche proposte intellettuali.
Forse è proprio da questa organica intellettualità, che segna il Sanguineti poeta ed il Sanguineti uomo, che la drammaturgia si ritrae depurando le radici e le ragioni di un conflitto che è quasi dimenticato oltre il limes del ricordo, oltre il confine della morte.
Lo spettacolo è comunque suggestivo nella sua costruzione drammaturgica e nella sua sintassi registica (lo stesso Pino Petruzzelli), anche per la sua indeterminatezza, la sua assenza di confini, in un contesto ove le soggettività risultano sfumate in una recitazione di “maschere” più che di “personaggi”.
Bravi i protagonisti in scena insieme a Pino Petruzzelli, l’intensa Alice Giroldini e il talora funambolico Mauro Pirovano. Le scene i costumi sono di Luciano Galletta e le musiche di Pino Petruzzelli, entrambi efficaci.
Al teatro Duse dal 10 al 16 dicembre.
Purtroppo la prima è stata funestata da un lutto, la morte improvvisa e prematura di Sandro Sussi, straordinario tecnico, anzi artista delle luci, di cui questo spettacolo è l’ultima prova della straordinaria bravura. Sussi è stato ricordato prima dello spettacolo con grande commozione da Angelo Pastore e Marco Sciaccaluga.
È uno spettacolo meritevole, anticipato da un breve concerto di allievi del Conservatorio Paganini di Genova, e a cui ha assistito un pubblico quasi da tutto esaurito e che ha a lungo applaudito. Sempre in ricordo di Edoardo Sanguineti lo Stabile genovese riproporrà poi nell’aprile 2016 il bellissimo “Macbeth Remix” che su quelle stesse tavole aveva esordito.
(Foto di Giuseppe Maritati)

Di seguito, a ulteriore e affettuoso ricordo, riporto l’ultima intervista che Edoardo Sanguineti mi concesse, un mese prima della sua scomparsa, e che ebbe come tema il teatro della crudeltà:

Da Parol - Anno XXV, n. 20, giugno/luglio 2010

MARIA DOLORES PESCE ― Nel suo saggio Per una letteratura della
crudeltà (1) , lei afferma che considerare il concetto di crudeltà elaborato
da Artaud come idea eminentemente teatrale e dunque ‘tecnica’ signi-
fica depotenziarne l’effetto eversivo. Al contrario Lei riproponeva quel-
l’idea come unica giustificazione possibile per una nozione della
letteratura. Ritiene oggi, e se sì sotto quale aspetto, tale affermazione
ancora condivisibile?

EDOARDO SANGUINETI ― È accaduto, in Italia – e non soltanto in
Italia – che un Artaud, come un Brecht, siano stati ridotti a due mo-
delli e a due paradigmi esclusivamente, o quasi esclusivamente, di teo-
ria e pratica teatrale. A mio parere ho cercato di insistere, e ancora
insisto se occorre, sopra un orizzonte più vasto e radicale, per l’uno
come per l’altro. Per entrambi, vale una dimensione critica assai più
vasta di quella letteraria, persino. Importano come modelli di contegno
culturale e morale, come ideologi, nel senso più forte della parola.

MARIA DOLORES PESCE - Lei afferma in quel saggio che “l’esperienza
delle parole condiziona (precede) quella delle cose”. Nel contesto
della sua produzione letteraria e anche teatrale, quale legame ha
l’idea di ‘crudeltà’ artuadiana con le esperienza di rinnovamento, non
solo o non tanto letterario, delle nuove avanguardie e dei Novissimi?

EDOARDO SANGUINETI ― Posso rinviare alla mia insegna, di allora
e di sempre, intorno alla dialettica (alla identità dialettica) di ideologia
e linguaggio. È attraverso il linguaggio (non soltanto verbale – ben in-
teso) che noi passiamo dalla natura (animale) originaria alla condizione
(umana) sociale. Entriamo dunque, e con un travaglio che impegna
tutta la nostra vita, nella società e nella storia. Artaud è uno dei pochi
autori che sono chiaramente presenti, anche citazionalmente, già nel
mio vecchio Laborintus (e si tratta, prima di tutto, dell’Artaud di Hé-
liogabale e di Pour en finir avec le jugement de Dieu, che fondarono il
mio anarchismo assoluto, allora). Nella sezione 3 (febbraio 1951): “im-
possibile parlare di due cose (di una c‘est avoir le sens de l’anarchie)”.

MARIA DOLORES PESCE ― Nelle sue drammaturgie vi è sempre una
particolare attenzione alla sonorità, alla fisicità della parola che transita
in scena e sta in scena ‘come’ un attore. Attraverso il corpo dell’attore
Artaud vuole giungere alla scaturigine del senso di sé stessi, così nei
suoi travestimenti lei sembra voler far parlare le cose (la vita, la realtà),
non per mezzo o attraverso la parola, bensì ‘nella’ parola, ribaltando in
un certo senso una gerarchia corrente. Questo significa, come Lei
scrive, decidere nella letteratura la dialettica delle parole e delle cose?

EDOARDO SANGUINETI ― Nelle scritture teatrali (in prosa e per musica,
e così nelle traduzioni e nei travestimenti), la dialettica delle parole
e delle cose, per me, comporta come dominante la corporeità; anche il
testo è una realtà del corpo: e, come ho scritto una volta, ogni teatro è
un “teatro anatomico”. Questo vale, a mio giudizio, anche per il teatro
radiofonico o televisivo e non è un caso che, in Storie naturali, per esem-
pio, tutto precipiti rapidamente nel buio completo, non a deprimento
della presenza fisica dell’attore, ma al contrario a esaltazione della sua fi-
sicità. La ‘letteratura teatrale’, insomma, è una partitura, diciamo così.
Il teatro è sempre, però, ‘presenza corporea’, in tutte le sue dimensioni.

MARIA DOLORES PESCE ― Nel teatro la parola si fa necessariamente
e necessitatamente concreta attraverso l’attore che la pronuncia. Qual
è il rapporto tra la concretezza della sua parola drammaturgica e il tea-
tro della crudeltà di Artaud?

EDOARDO SANGUINETI ― Anche per questo problema posso risalire
al mio Laborintus, sezione 23, dove, citando Metastasio (e può apparire
incredibile, a chi lo conosce male), Estratto dell’Arte Poetica d’Aristotile,
XXIV, ricordo che Aristotile, appunto, “non si vale mai delle parole pas-
sioni, o patetico, per significar le perturbazioni dell’animo (...); egli in-
tende sempre di significare le fisiche affezioni del corpo: come sono i
colpi, i tormenti, le ferite e le morti”. La “crudeltà” di Artaud non è, in ul-
tima istanza, che le “fisiche affezioni” di Aristotile-Metastasio.

MARIA DOLORES PESCE ― Lei mi sembra affermare che la parola ‘crudele’
va oltre la sintassi, attraverso la sua destrutturazione, per attivare un
nuovo processo, più autentico o libero, o liberatorio, di classificazione
(gerarchia dei valori, significazione). Assimilando sintassi e stato, in
questo dunque, sul piano letterario, la parola crudele è rivoluzionaria?

EDOARDO SANGUINETI ― Il teatro borghese è, in essenza, l’opposto
di quanto ho ora rilevato. Un teatro patetico-corporeo, è, struttural-
mente, un teatro rivoluzionario. E qui posso anche pensare a Beckett,
come paradigma di una eversione realistico-critica. Ma si dovrebbe, a
questo punto, probabilmente, cedere il passo alle ricerche filmiche del
Novecento, dalle origini a Lars von Trier.

MARIA DOLORES PESCE ― Parlando del surrealismo, Lei ne espone
un’insanabile contraddizione propria peraltro, a Suo dire, di ogni avan-
guardia. La contraddizione di voler essere letteratura al servizio della ri-
voluzione e insieme, per essere rivoluzionaria, di doversi porre oltre la
letteratura. Vuole spiegarci in che senso una letteratura della crudeltà è
in grado di vanificare una simile contraddizione?

EDOARDO SANGUINETI ― Il surrealismo non nasce come espressione
‘estetica’, ma vuole porsi come indagine intorno ai meccanismi psichici
fondamentali. Breton, insomma, non pensava, in principio, alla ‘lettera-
tura’. Poi, con il tempo, le cose mutano. L’esito, comunque, è quello di
indicare, come due questioni essenziali, la sfera politica (al servizio della
rivoluzione) e quella analitica (onirismo e delirio). È così che si chiu-
dono quelle che saranno indicate come le ‘avanguardie storiche’, quando
emergeranno le ‘nuove avanguardie’ della seconda metà del secolo scorso
(con il rifiuto dei ‘movimenti’ e l’apparizione dei ‘gruppi’. Il resto è quello
che ho cercato di spiegare, nel 1963, in Sopra l’avanguardia (momento
patetico e momento cinico, mercato e museo, ecc.).

MARIA DOLORES PESCE ― Un’ultima domanda sull’allegoria. Se ben
ricordo in Benjamin l’allegoria non esprime il suo oggetto ma, nello stra-
niamento, lo sostituisce e per questo al suo oggetto rimanda e a esso ri-
torna oltre la finzione (oltre la storia). Così la verità della parola in un
certo senso sta nella sua capacità di esplicitare il suo artificio e così ripri-
stinare, oltre quello, la sua matrice. In che modo una letteratura della cru-
deltà “opera consapevolmente – cinicamente – per allegorie”?

EDOARDO SANGUINETI ― In fondo, si tratta ancora e sempre di op-
porre a una cultura del ‘simbolo’ una cultura della ‘allegoria’. Benjamin è
stato in questo il maggiore maestro, sopra ogni ambito dell’esperienza.
Per molti riguardi, ‘crudeltà’ e ‘allegoria’ hanno agito come sinonimi – e
possono, e devono, ancora agire così.

Note
(1) Edoardo Sanguineti, “Per una letteratura della crudeltà”, in Ideologia e Linguag-
gio, a cura di Eminio Risso, Feltrinelli Editore, Milano, 2001, pp.108/111