È lo spettacolo dello straordinario esordio nel 1994 di Spiro Scimone e Francesco Sframeli. L’occasione per rivederlo a La Spezia è offerta da FuoriLuogo, che lo mette in cartellone l’11 e il 12 dicembre al Dialma Ruggero. Atto unico, scritto da Spiro Scimone in dialetto messinese, costruisce, nella trama leggera e ficcante della scrittura scenica, una sorta di altrove, insieme interiore e sovra-mondano, sull’orlo del mondo e verso di questo sempre in bilico ma da questo, soprattutto, rigidamente separato. All’interno di questo antro, cui offre protezione solo una pesante porta mai in vista e da cui giungono occasionalmente oscuri segnali dal mondo esterno, le esistenze di Pino e Nunzio è come si scarnificassero, si purificassero mostrando l’essenzialità dell’esistere e l’essenza di una umanità che nel mondo, oltre quella porta, appare ormai dimenticata.
Una umanità essenziale dunque, una umanità in essenza che mostra, e ci mostra, le sue radici psicologiche e affettive, radici che con leggerezza e ironia si articolano in una relazione paradossalmente trasparente e, insieme, articolano il senso di esistenze che apparirebbero allo sbando.
Sorprendentemente, così, tutto ci appare più chiaro, anche il non detto, attraverso quella scrittura scenica priva di retorica e densa di significato, dentro la quale la parola dialettale, come nella migliore lezione di Eduardo, diventa più carica di senso e più capace di porgerlo della stessa parola in lingua.
Nunzio e Pino in quella cucina, nella intermittenza e quasi occasionalità dei loro incontri, si spiegano e ci spiegano, e così costruiscono una immagine del mondo e del nostro esistere di cui inevitabilmente diventiamo partecipi. Quella cucina è infatti chiusa su di sé ma straordinariamente aperta sulla scena e accogliente, ne siamo parte mentre la narrazione si sviluppa con i ritmi perfetti di una partitura quasi sinfonica nella sua pluralità di suggestioni e richiami.
Nunzio è malato e Pino compie viaggi lontani per fini non detti, ma l’aspettativa della felicità, una felicità fatta di viaggi immaginati e sempre rimandati e quasi incarnata nella “pasta c’a pumadoru comu ‘a sai fari tu” che Nunzio ripete come una litania, li unisce per sempre.
Di tutto questo, di questa scrittura narrativamente completa ed insieme intimamente votata alla scena, dà piena ragione l’eccezionale prestazione scenica ed attoriale, ove la mimica, l’uso del corpo e la articolata vocalità che prende le mosse e quasi si libra in volo sulle tonalità di un dialetto così profondamente musicale da parte di Scimone e soprattutto di Francesco Sframeli, sono inevitabilmente un vero insegnamento per tutti.
Un amalgama, se vogliamo, raro e fuori dal comune in cui la coerenza dell’intuizione scenica con la sua resa narrativa e sintattica costituiscono la cifra di questa compagnia duale, dall’esordio alle ultime performances.
Spiace, a questo riguardo, e meraviglia notare che le loro drammaturgie e i loro spettacoli, rappresentati e tradotti in mezzo mondo, non siano entrate di diritto e con continuità nei cartelloni dei tanti teatri pubblici italiani, costituendo queste, a mio avviso e a quello di molti altri, ormai un repertorio “classico” della migliore tradizione italiana, per le qualità intrinseche e per lo sguardo ed il respiro europeo che le caratterizza.
Ma non solo, anche per le innovazioni della sapienza attoriale che producono, una sapienza che nella apparente spontaneità incorpora e trasla uno studio profondo del corpo e del suo rapporto con lo spazio scenico. Un corpo che quasi acquista una autonomia extra-esistenziale caratterizzandosi in marionetta, in “pupo” che con la meccanicità dei suoi movimenti depura e distilla, anche nella ritualità ad esempio del saluto al pubblico, la spontaneità più intima dell’essere umano.
Lo spettacolo è presentato nella sua prima regia a cura di Carlo Cecchi, che per primo ne intuì le enormi potenzialità e che lanciò la compagnia, con l’assistenza di Valerio Binasco. In scena, ovviamente si sarà capito, Spiro Scimone e Francesco Sframeli.
Domenica 13 dicembre verrà anche proiettato gratuitamente il film “I due amici” che da questa drammaturgia è tratto e che ha avuto numerosissimi riconoscimenti.
Il pubblico alla fine era “stregato” ed ha a lungo applaudito.