Veronika Voss, protagonista del penultimo film di Rainer Werner Fassbinder (più volte richiamato in scena dall’acronimo R.W.F.), è una sorta di chiave, di passe-partout che Antonio Latella usa efficacemente per penetrare nel mondo del drammaturgo, prima ancora che regista, tedesco prematuramente scomparso all’inizio degli anni 80 del secolo scorso. Quindi più che un adattamento da Fassbinder, ovvero un’opera tratta da un suo lavoro, questa drammaturgia appare come una occasione per ripercorrere una strada, la difficile strada verso le nostre angosce e insieme verso le nostre meraviglie, che utilizzando gli stilemi ed i topos narrativi di Fassbinder sembra volerci parlare soprattutto del nostro oggi attraverso gli occhi dello stesso Latella. Veronika è una chiave che apre stanze sovrapposte e comunicanti così che ne deriva
una drammaturgia profondamente stratificata sia nei linguaggi, che mutuano insieme dalla leggerezza sintattica del cinema e dalla articolata strutturazione dialogica del teatro, sia nelle narrazioni che accompagnano Veronika, la cui storia è richiamata con grande fedeltà, ad accostarsi da subito al suo demiurgo/regista e ai personaggi che altrove ne affollano la mente.
In un continuo e intrigante gioco di corrispondenze, è come se il teatro si rispecchiasse nel cinema ed il cinema si riflettesse nel teatro, così da reciprocamente irrobustire senso e significazione del percorso drammaturgico, figurativo e significativo.
Veronika Voss, tra l’altro, per la sua storia (è ispirata ad una attrice del cinema di propaganda nazista) e come nelle corde di Fassbinder porta con sé, non solo interiorità, ma anche un richiamo a ciò che sta fuori, alla coscienza collettiva di un popolo che fatica a fare i conti con il proprio passato.
Un percorso tragico e sofferente ma sempre riscattato da una sorta di visione “sentimentale” che Fassbinder viveva e rappresentava nel suo amore per il melò e che Antonio Latella sembra far propria quando feconda con i semi dell’ironia il tragico sprofondare di un’anima abbandonata dal suo mondo di luci nel suo mondo di luci.
Si continua dunque a percepire uno straordinario bisogno di amore e anche una straordinaria capacità di amore, anche e soprattutto contro il mondo e contro la paura, bisogno e capacità che attraverso la trasfigurazione estetica del racconto sembrano poter trovare un approdo, approdo segnato dall’ultimo quadro dello spettacolo con il ritrovarsi attorno ad un albero in fiore, quasi la Tara di Via col Vento, vicino alla tomba di R.W.F., essendo la sua morte una sorta di ultimo dono disperato e sereno.
Scrisse Fassbinder a proposito di Genet e del suo mondo: “E’ estremamente eccitante ed emozionante scoprire, prima lentamente, poi con crescente insistenza, il rapporto esistente tra questo mondo estraneo con le sue leggi e la nostra realtà, naturalmente anche soggettiva”; e più oltre: “E solo chi ha raggiunto una totale identità con sé stesso non deve avere più paura della paura. E solo chi non ha paura può amare al di fuori dei valori; il traguardo estremo di ogni umana fatica: vivere la propria vita.”
Latella coglie dunque il senso universale di tale percorso, oltre il genere, oltre l’osceno e oltre la provocazione, rivendicandone la forza di un “classico” e lo strazio di una tragedia antica e interiormente vissuta, tragedia che il coro delle nostre “scimmie” nascoste ci canta ogni giorno.
È uno spettacolo difficile questo, che segue e forse vuole integrare la precedente riproposizione di “Le lacrime amare di Petra von Kant”, e che merita e impone una rivisitazione ed una ulteriore riflessione.
In scena Monica Piseddu, Annibale Pavone, Valentina Acca, Estelle Franco, Caterina Carpio, Nicole Keherberger, Fabio Pasquini, Maurizio Rippa e le ombre Massimo Arbarello, Sebastiano Di Bella e Fabio Bellitti. La recitazione è in tutti eccellente ma merita una nota specifica la Veronika di Monica Piseddu eterea e sempre sul punto di spezzarsi ma insieme vibrante di forza.
Le scene, molto efficaci, sono di Giuseppe Stellato, i costumi di Graziella Pepe, le musiche di Franco Visioli e le luci di Simone de Angelis. Un complesso di qualità.
Produzione di Emilia Romagna Teatro, al Teatro della Corte di Genova dal 12 al 17 gennaio tra le compagnie ospiti dello stabile genovese. Il pubblico, che speriamo più numeroso nelle repliche, è apparso sconcertato ma colpito.
Foto Brunella Giolivo