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Vestito di bianco come un Pulcinella della postmodernità, senza maschera perché il suo viso è già in maschera, Antonio Rezza regala al pubblico milanese un ballo in maschera fatto di ritmi, silenzi, e suoni. Suoni gutturali che “anelano” la parola, che vanno verso una parola scenica che fatica a nascere come nei primissimi momenti di vita. La fatica della parola, del pensiero, dell’agire, del comprendere, all’interno di uno spazio scenico privo di volume: la fatica del vivere. Una scenografia minuta quasi da teatro dei burattini dietro cui si muove un piccolo coro che fa da contraltare ai movimenti di Antonio, mentre lui porta in scena diverse figure della contemporaneità: un matematico che scrive e ragiona a voce alta, un lettore che parla mentre legge e non capisce ciò che legge, i grandi del mondo che cercano di riunirsi invano, militari depressi, un figlio che ragiona sulla

famiglia (antropologicamente pericolosa per l’equilibrio mentale) e sulla psicanalisi. Antonio Rezza non più in scena da solo ma con quattro compagni di avventure attori performer che moltiplicano e amplificano i suoi movimenti scenici: Ivan Bellavista; Manolo Muoio; Chiara Perrini; Enzo Di Norscia. Bravissimi e poliedrici, ben in sintonia fra di loro. Tutto scorre fra movimenti ritmici cori e risate del pubblico, fino alla sequenza finale sott’acqua, in apnea (quasi come in un utero materno) in questa parte, con qualche ripetizione di troppo, si snoda il racconto di una famiglia, di una società con l’acqua alla gola, inerme, di fronte ai dubbi, alla crisi. L’ultima opera scenica di Flavia Mastrella e Antonio Rezza, indissolubilmente uniti in habitat e corpo, si presenta subito come esperienza dissacrante e ironica. L’azione scenica si sofferma su diversi temi: la matematica, la famiglia, la politica, la psicanalisi, il sesso, la morte, la nascita. Per ogni tema si ironizza sull’altra faccia della medaglia: la matematica come una collezione di formule incomprensibili; la politica come attrazione fatale, gioco sessuale dei corpi in scena; la psicanalisi un insieme di inutili logorroici ragionamenti che frenano le coscienze. Che cosa si salva in questo nichilismo ossessivo? L’individuo che anela la parola...Perché funziona uno spettacolo così? Perché punta su una recitazione che nasce dai contrasti, da una logica di opposizioni: lingua/dialetti; poesia/prosa; maschera/non maschera; patetico/ridicolo. Questa bidimensionalità (tipica della Commedia dell’arte) mescola il serio e il comico, il sacro e il profano, tutto in un unico processo creativo che coinvolge anche lo spettatore in un gioco di comprensione su ciò che si sta per dire, su ciò che si sta per fare: seduzione e comprensione due elementi teatrali necessari per tenere viva l’attenzione del pubblico. Utilizzando al meglio i principi del teatro di Barba (ben analizzati da De Marinis in “CAPIRE IL TEATRO, Lineamenti di una nuova teatrologia, Bulzoni Editore) Rezza riesce a tenere sempre desta l’attenzione dello spettatore. Sono principi che aiutano un ulteriore comprensione del fare teatro, del comportamento teatrale dell’attore. Principio dell’alterazione dell’equilibrio (presenza scenica forza e qualità energetica); principio dell’opposizione (danza e gioco di opposizioni associando ad ogni impulso un contro impulso; principio della semplificazione (omissione di alcuni elementi per mettere in rilievo altri); principio dello spreco di energia (mantenere fino all’ultimo la necessaria capacità di concentrazione e attenzione in tutti i momenti dello spettacolo) In estrema sintesi questi principi ci permettono di comprendere che cosa rende Rezza unico nel suo genere, dietro uno spettacolo apparentemente semplice c’è una preparazione lunga e faticosa. Il teatro è regno della complessità dove si lavora strenuamente per ridurre in un’unità scenica, la molteplicità delle variabili. Antonio Rezza e il suo doppio, il suo triplo...il suo io frammentato, polivocale e multitasking parla ad ognuno di noi. Dalla molteplicità all’unità.

Milano, Teatro Elfo Puccini 21 febbraio 2016