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Una lettera dialogata, un discorso intimo, sereno e doloroso insieme, un documento da tramandare, un’eredità artistica, una lezione di teatro. Questi i pensieri che si affollano in mente, mentre l’attore interpreta parole ormai famose, istruendo i giovani, i più anziani, declamando, spiegando, imprimendole nelle menti degli spettatori. Titolo in qualche modo ossimorico, in cui compare la personificazione di un elemento astratto che, in effetti, ci accompagna lungo tutta la nostra vita, così come afferma l’autore di questo pregevole testo. Parliamo di Giovanni Testori, colui che firma la sua CONVERSAZIONE CON LA MORTE nel 1978, e che, evidentemente, connota i suoi ultimi anni di

vita attraverso un testamento, caratterizzato da una “poetica descrizione” della sua stessa poetica. Vita e teatro sono indissolubili, e qui, non ci troviamo di fronte ad una semplice o banale testimonianza che imprime sulle pagine lo sfogo di un uomo di teatro, alla fine della sua carriera. Non possiamo, quindi, considerare questa conversazione, sebbene immaginata ma fortemente viva, una chiusura alla vita, anzi è una riflessione importante su ciò che è stato, su ciò che si è apprezzato, perduto, dimenticato, desiderato. Una conversazione con la vita, potremmo, dunque, azzardare, quella stessa che, alla fine del nostro viaggio-percorso, chiamiamo  poi morte. I riferimenti biografici sono evidenti, dal pensiero alla madre e alla sua dipartita, momento che sembra costituire il turn over nella vita dell’autore, al rapporto con la religione cristiana, attraverso la visione di immagini apocalittiche, di migrazioni dell’anima, fino al simbolico personaggio della capretta, interlocutrice silenziosa, inesistente o immaginaria, animale che riunisce in sé molteplici simbologie religiose, dalla purezza al satanismo. Il teatro Elicantropo di Napoli ci offre, dunque, dal 18 al 21 febbraio, una rara e preziosa lezione di teatro, durante la quale l’interpretazione dell’attore sottende non solo  ad un’enorme esperienza attoriale e scenica, ma soprattutto evidenzia l’elemento fondamentale che rende Testori tale: la parola. Essa vive e muore attraverso la scena, ma soprattutto attraverso l’attore. Vorremmo sfidare i giovani attori di presunta esperienza ad interpretare il lungo monologo che Antonio Ferrante riporta in scena, testimoniando, prima attraverso la recitazione, e dopo, attraverso una conversazione con gli spettatori, quanto la scena possa essere un luogo di cultura illimitata. Ciò che colpisce, è l’attenzione viscerale che l’attore rivolge al testo, pur testimoniando la sua interpretazione laica di un discorso che Testori poggia frequentemente e solidamente anche sulla religione. Come Testori recupera i testi classici della drammaturgia europea, possedendoli intensamente per poi crearne  nuovi, anche Ferrante studia a fondo la produzione del milanese, inglobando in sé, non solo il testo, ma soprattutto il personaggio-autore. È evidente, dunque, la volontà di un attore di lunga esperienza che sente fortemente vicino un testo scritto in età matura, pur affermando la lunga evoluzione del lavoro attoriale, che necessita di lunghe fasi di comprensione, di identificazione, quest’ultima necessariamente mai del tutto spinta ad una totale congruenza tra i due uomini. Ciò che emerge dalla splendida interpretazione di Ferrante è l’attenzione ad ogni singola parola del testo, che, sulla scena, sembra presentare un’originale e complessa mescolanza tra racconto realistico della propria vita, allegoria, immaginazione e riflessione onirica. Le sonorità percorse dall’autore diventano partitura per l’attore, che pone la sua voce al servizio dell’intensità semantica di ogni singola parola, sottolineando le allitterazioni, le ripetizioni, i toni ascendenti e discendenti, gli accenti, gli enjambemant, le pause, la punteggiatura. Il risultato è uno splendido “spartito” linguistico e letterario, in cui si sostituiscono le parole alle note – nonostante le particolari scelte musicali - creando un flusso sonoro e discorsivo che ipnotizza il pubblico. Performance di grande eleganza e di enorme difficoltà che il Ferrante, con i suoi occhiali neri – e torna il Beckett di “Finale di partita” – e la sua maschera di Pulcinella, interpreta nell’oscurità dei pensieri di Testori. Perché osservare ancora, se il ricordo diventa immagine da cui ripartire?
Il lascito è di grande pregio, poiché questa importante lezione di teatro parte dal testo, passa dalla scena, attraverso la dimostrazione di tutte le capacità di un attore, e arriva al pubblico, che impara osservando. Un lenzuolo bianco sul cadavere-ricordo. Il sipario è chiuso.

Foto Nina Borrelli

CONVERSAZIONE CON LA MORTE
Teatro Elicantropo
18-21 febbraio 2016
Antonio Ferrante e Love and Creativity
presentano
Conversazione con la morte
di Giovanni Testori
diretto ed interpretato da Antonio Ferrante
allestimento Maria Palumbo, ricerche Antonio Ferrante
selezioni musicali Massimo Arcidiacono, foto e video Nina Borrelli
assistente alla regia Flavia Mazza
si ringrazia Loredana Martino