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Ecco la terza puntata di questa saga, mi si passi il termine da blockbuster cinematografico ma credo non sarà sgradito per questa riscrittura drammaturgicamente “seriale” dal popolarissimo romanzo di Dumas padre, su testo per l’ultima volta di Aldo Trionfo e per la regia, questa volta, di un efficace Piero Maccarinelli, dall’8 al 13 marzo al teatro Astra di Torino. Terza puntata, cioè la puntata in cui, nella ideazione complessiva concepita da Beppe Navello, gli intrighi cominciano a svilupparsi e prendere corpo. Intrighi e tradimenti, politici ma non solo, che preparano la “trappola” di Richelieu il “sottile” contro la  Regina, straniera in patria, che ostacola i suoi disegni di controllo del regno di Luigi XIII e quindi di potere assoluto. Intrighi e tradimenti che appaiono purtroppo ancora oggi, quando gli assolutismi sembrerebbero da tempo tramontati e i totalitarismi

apparentemente sconfitti, costituire la sostanza del potere e del suo esercizio.
Quindi una puntata, di questo che già avevo definito romanzo di formazione, dedicata al potere nelle sue proteiformi articolazioni, in cui avventura e lealtà sembrano oscurate, confinate quasi in un retroscena da cui ci attendiamo però riappaiano per una loro riscossa, insieme all’amore che le anima incessantemente.
Un potere che vuole farsi tirannico e rappresentato, si badi bene, non solo nelle sue forme più spiccatamente “politiche” ma acutamente disvelato anche nelle sue sotterranee ma fondative articolazioni di genere, in cui il dominio ed il conseguente conflitto non sono solo tra stati e dinastie, ma anche tra uomini e donne, siano questi re e regine, dame e moschettieri, primi ministri e dark lady ante litteram, o semplici popolani e popolane.
Il tutto in dosi sapientemente mescolate nell’impasto della narrazione scenica, mentre l’evidentemente inadeguato Bonacieux entra ed esce dalla Bastiglia, preziosi puntali di diamanti spariscono, lettere entrano ed escono freneticamente in scena, e molti, D’Artagnan e Milady in avanguardia, si preparano a partire con destinazione Londra, per salvare o condannare la Regina.
Frenesie e rapidità assecondate nella giusta misura dalla bella regia di Piero Maccarinelli che, trattando appunto di Potere con la P maiuscola, sceglie intelligentemente di accentuare i toni grotteschi ma soprattutto le tonalità comiche della messa in scena senza però mai slittare nel vaudeville o nella farsa.
La tonalità, giusta a mio avviso, è infatti più quella del carnevale, enfatizzato dai movimenti musicali e coreutici, perché la licenza carnascialesca, incarnata anche nella storia teatrale da clown e fool, è ancora la modalità più efficace non solo per “denudare” il potere e denunciarne gli eccessi, ma anche per smascherarne i limiti profondi e quindi per sottrarci, per una volta o per sempre, alla colpevole sudditanza nei suoi confronti. Proprio per questo la stessa sponsorizzazione “interna” al tessuto narrativo assume anch’essa nuovi significati.
Ben corroborano senso e struttura della rinnovata traslazione scenica le musiche di Germano Mazzocchetti, ballabili e liriche insieme, che il maestro Alessandro Panattieri ben inserisce alla trama narrativa, guidando con mano delicata cori e danze, senza dimenticare, tra gli uni e le altre, di partecipare all’azione.
Così, oltre ogni macchiettismo, Luigi è un galante inefficace che aspetta solo di essere tranquillizzato e lasciato nella sua inettitudine, Richelieu è una maschera ridicolmente trasfigurata nell’impotente desiderio di potenza, e via mascherando.
Sotto queste maschere un popolo aspetta, aspetta di capire e aspetta di rivendicare giustamente. Nel frattempo sogna, sogna e gioca all’interno dei sogni avventurosi dei moschettieri e delle loro dame, sogna e gioca nei sogni di Costanza la dama che è e rimane nel popolo, sogna e gioca e forse così si prepara a ben più concreti eventi.
Assecondano con bravura la scelta registica di questa terza puntata, tenendo con forza il centro della scena e dell’attenzione narrativa, un encomiabile Gianluigi Pizzetti (Luigi XIII), un torvo ai limiti del comico Antonio Sarasso (Richelieu), una morbidamente romantica Marcella Favilla (la regina) ed una intensa e poliedrica Maria Alberta Navello (Costanza). Attorno a loro, più sullo sfondo, l’oscuro Alessandro Meringolo (Rochefort), l’inevitabilmente ironico Sergio Troiano (il padre di D’Artagnan), un indignato Stefano Moretti (il Capitano) e appunto il bravo Fabrizio Martorelli (il “povero” Bonacieux). Da ultimo, a preannunciare nuove avventure, entra brevemente in campo (pardon in scena) anche D’Artagnan nel corpo di Luca Terracciano.
Ancora una volta per prenderci finalmente un po’ sul serio abbiamo dovuto ridere di noi, in questa piazza del Louvre che vuole essere un punto di vita sul mondo. Dello staff tecnico abbiamo già trattato nella prima puntata, non rimane che rimarcare ancora una volta quanto sia interessante questo sforzo produttivo del teatro diretto da Beppe Navello, non solo dal punto di vista artistico e drammaturgico, ma anche da quello della continuità “lavorativa” assicurata, inusualmente in tempi di precarietà anche estetica, a tanti attori e tecnici, tra questi molti giovani che potranno crescere e maturare.
Il pubblico risponde assai bene con assidue presenze, molte risate e altrettanti applausi.