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Incontrati nel 2013, presso lo stesso teatro napoletano, l’Elicantropo, il gruppo INSTABILI VAGANTI ha, poi, girato il mondo. Non solo con lo spettacolo L’EREMITA CONTEMPORANEO, che nasce, attraverso una drammaturgia composita, dall’osservazione della condizione degli operai dell’ILVA di Taranto, ma soprattutto attraverso progetti che raccolgono le voci di coloro che rimangono inascoltati. Su questa idea si basa MEGALOPOLIS, “Progetto di sperimentazione e creazione performativa nell’era globale”, nato nel 2012, grazie ad Anna Dora Dorno e Nicola Pianzola, in collaborazione con il team internazionale di perfomer di Instabili Vaganti International Laboratory (Svezia/Norvegia/Italia/Corea), e con UNAM Università Nazionale Autonoma del Messico – Centro Cultural Universitario Tlatelolco / UVA Unidad de vinculacion artistica

– Festival Internacional Cerro de Arena.  Un progetto, dunque, di ampio respiro internazionale che tocca, appunto, alcune delle maggiori megalopoli: Città del Messico, Seoul, Teheran. Da Taranto al resto del mondo, considerando la città pugliese punto di partenza di Anna Dorno, di cui si è fatto portavoce anche Pianzola, si arriva, poi, alle fabbriche del mondo intero, fino in Messico, luogo in cui la questione è ben diversa. La caratterizzazione della perfomance di Instabili Vaganti è ben delineata, attraverso elementi che ritroviamo in ogni spettacolo: dall’utilizzo del microfono con asta in scena, al gioco di voci, all’attenta scelta di musiche ed immagini, alla performance corporea, vera protagonista del racconto. Da Taranto al Messico, la compagnia si fa portavoce degli abitanti di Ayotzinapa, dove 43 studenti sono stati strappati alle famiglie, il 26 settembre 2014: ancora oggi “desaparecidos”. La drammaturgia, presentata in scena, ricorda un lavoro di patchwork, che conduce la compagnia ad un pregresso e difficile percorso di raccolta di testimonianze e di racconti, forniti dagli studenti messicani coinvolti nel progetto. Questo procedimento comporta la creazione di un “tappeto” drammaturgico e scenico, in cui le varie parti, sonore, visive e testuali, sono cucite insieme come ritagli di patchwork. La narrazione, dunque, non è diacronica, ma è costruita attraverso momenti in cui tutti questi elementi confluiscono in squarci visivi, sonori e testuali, che lo spettatore assorbe continuamente. Parliamo dunque di perfomance durante la quale gli attori raccontano attraverso il corpo, senza però identificare questo prodotto artistico nello specifico genere del teatro-danza. In effetti è complesso definire un genere in cui collocare questo spettacolo, che, in realtà, è frutto della firma originale di INSTABILI VAGANTI, e per questo motivo fortemente e univocamente caratterizzato. L’utilizzo di proiettori che fanno scorrere sul fondo immagini, volti, notizie, vignette, rafforza l’idea di patchwork teatrale che, in questo caso, ha un evidente fondamento nel documentario giornalistico. La struttura del documentario televisivo, infatti, frammentaria e dotata di immagini che si proiettano anche sui corpi degli attori/ballerini, sembra voler informare il pubblico dei fatti avvenuti, commentarli attraverso le testimonianze reali della gente che ha subito questa dolorosa violenza, fissare il ricordo e porre l’attenzione su eventi internazionali che sembrano far esplodere la riflessione, partendo da un microcosmo ed arrivando ad un discorso universale. Gli attori tendono ad utilizzare la lingua spagnola, rivolgendosi allo spettatore, attraverso un mix di informazioni e di stimolazioni sensoriali e sentimentali.  Si sceglie, inoltre, di presentare alcuni dei “topoi” tipici della cultura messicana, come il ventaglio, il ballo, le modulazioni di voci tipiche della cultura ispanico-americana. Alcune scelte sembrano, però, superflue o eccessive, come quella di porre davanti al microfono una mater dolorosa, coperta da un velo nero, che intona, come sottofondo alle immagini, una nenia da prefica, in effetti eccessivamente prolungata. Anche la scelta di accendere alcuni lumini rossi che compongono il numero 43 sembra prevedibile, anche se suggestivo appare il gesto della donna che li spegne, improvvisamente, con un movimento del ventaglio. Intenso appare la distribuzione, nei palmi delle mani di alcuni spettatori, per lo più donne,  alcuni fiori di carta, mentre le immagini scorrono e le attrici – Anna Dora Dorno e Marta Tabacco- continuano a muoversi sulla scena. I semi che sono stati estirpati, quelli della giovinezza dei 43 desaparecidos gettati probabilmente in un fossa comune, produrranno una coscienza politica e popolare che, in questo momento, e grazie al progetto di INSTABILI VAGANTI, rivive attraverso il teatro e la perfomance scenica, elementi riconoscibili e comprensibili da tutte le culture mondiali. Il progetto risuona al grido “Vivos se los llevaron y vivos los queremos!”, ancora una volta simbolo di un discorso di enorme portata che, alla fine, si distacca dalla  specifica caratterizzazione storico-politica, prettamente messicana.  La gente della cittadina urla “Todos somos Ayotzinapal!”: la storia contemporanea si racconta anche attraverso il teatro e le nuove forme di comunicazione. Il simbolo di questo progetto è diventato, infatti, un hastag, considerato oggi il mezzo più veloce di diffusione di una notizia, di un pensiero, del senso profondo di una lotta: #Megalopolisproject43.

Foto di Anna Dora Dorno

Teatro Elicantropo Napoli
10-13 marzo 2016
Instabili Vaganti
supportato in residenza da Teatro Akropolis, Progetto Genius Loci, Genova.
Emilia Romagna Teatro Fondazione, Cantiere Moline, Bologna
presenta
Desaparecidos#43
Progetto internazionale Megalopolis
drammaturgia originale Anna Dora Dorno e Nicola Pianzola
con
Anna Dora Dorno, Nicola Pianzola, Marta Tabacco
musiche originali Alberto Novello JesterN

regia Anna Dora Dorno