Siamo noi che guardiamo il teatro o è il teatro che guarda noi? Questo è il quesito che sembra porre e porci la performer Dorit Weintal con il suo intelligente spettacolo alle Officine CAOS di Torino il 18 e 19 marzo. Un quesito non banale e soprattutto non banalmente posto o banalizzato ma che si articola in questa eterodossa coreografia drammaturgica, o se si preferisce drammaturgia coreutica, e ne struttura, a mio avviso nel profondo, il percorso segnato in primo luogo da una concreta fisicità, della danza e della recitazione, in cui si assorbe anche la virtualità dell’articolato percorso multimediale. Una peripezia nel segno della ricerca di una identità fatta di posizionamenti nello spazio e nel tempo, e delle alternanze e cesure che li caratterizzano nella genesi stessa della nostra memoria individuale e soggettivizzante. Una soggettività ed una individualità mescolata però
di parole e immagini condivise, di luoghi concretamente sulla scena e di luoghi evocati sulla scena da immagini quasi trascinate dalla onirica musicalità che ne accompagna l’emergere e lo sfumare sul fondo scena.
Dal quel fondo scena, tra ombre e luci improvvisamente balenanti, si muove la ballerina che progressivamente, con tecnica ed emozionalità quasi affettiva, costruisce a partire, credo, dai suoi personali ricordi una sorta di percorso di avvicinamento progressivo a noi, al pubblico insieme attratto e sconcertato. Fino a guardarci negli occhi quasi a studiarne le profondità colorate.
Siamo così dolcemente ma inevitabilmente coinvolti e chiamati ad essere parte della performance, con modalità peraltro oltre la tradizionale partecipazione di alcuni agli eventi di scena, quando ad esempio la ballerina si trasforma in una sorta di donna uccello piumata.
Modalità non tradizionali e che, dunque, d’improvviso ci sorprendono. Infatti mentre la ballerina è ormai prossima a noi una fotografa riprende i nostri volti e i nostri sguardi attratti e distratti proiettandoli poi in sequenza su quello stesso grande schermo che occupa il fondo scena.
Occasionalità e contingenze rubate e fermate in un breve scatto che fanno di questo spettacolo un evento sempre diverso e sempre nuovo, accentuando quell’impressione di scarto e distonia temporale che richiama, nelle riprese di gesti e movimenti già avvenuti o forse ancora da accadere, quel tempo particolare e inattuale del sogno e della memoria.
Se, come scrive il foglio di sala, la scienza parla di “neuroni specchio empatici”, il teatro non fa che riscoprire le sue antiche potenzialità estetiche e psicologiche.
Un bello spettacolo ideato e diretto dalla stessa Dorit Weintal collaborata da Katia Vonna Beltran (la fotografa), da Jérome Bianchi (video) e da Simone Giacomini (live music), per la compagnia “Faido Dance Company” da Amsterdam.
Una parola per le Officine CAOS, negli spazi di Piazza Eugenio Montale delle Vallette a Torino, che con il suo interessante cartellone mostra di essere aperta alle suggestioni del teatro europeo, da cui come in questo caso provengono stimoli profondi, e ai fermenti più fecondi del nuovo teatro italiano. Un cartellone che consigliamo di seguire con attenzione e che può essere approfondito nel sito della compagnia.