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Debutto napoletano per il testo e per lo spettacolo di Enzo Moscato che accedono di diritto alla grande storia del teatro napoletano ed italiano. Il ritorno dell’autore-attore-regista, sembra risvegliare negli spettatori grandi consensi e applausi a scena aperta, grazie ad un pubblico divertito e affascinato da una stretta maglia di ironia che imbriglia tutto il racconto. Una rete marinara, seguendo l’ambientazione “nautica” dell’intero spettacolo, che non solo raccoglie, imprigiona, tiene stretti gli innumerevoli elementi presenti, ma cuce perfettamente una narrazione storico-teatrale-allegorica che fa rinascere la complessa, eterogenea e ricercata poetica moscatiana, sul palcoscenico del Teatro Nuovo di Napoli. Dal debutto del 6, fino al 10 aprile, la scena, disegnata da Tata Barbalato, si trasferisce sul ponte di una nave: le luci – curate da Cristina Donadio, e le musiche di

Claudio Romano – con la scelta di porre sul palcoscenico Teresa Di Monaco, comandante al timone “audio” di questo spettacolo -  sembrano risuonare di odori e di scricchiolii marinareschi, dal legno umido al dondolio del pennone, issato simbolicamente al centro della scena. Quest’ultima sembra ondeggiare sotto effetto ipnotico, nonostante rimanga ben salda, coinvolgendo il pubblico in un misterioso viaggio nel Mediterraneo, durante gli anni del Fascismo ed oltre. Se già agli inizi del ‘900, intorno al 1912, i giornali dell’epoca, anche quelli artistici, descrivevano, ripetutamente e sotto vari aspetti, il viaggio libico degli Italiani, sia essi artisti, che civili o soldati, oggi Moscato riprende la Storia ed il discorso colonialistico attraverso il punto di vista di due prostitute-travestiti-narratori, provenienti naturalmente dai Quartieri Spagnoli napoletani. Il viaggio “fantastorico”, che va dal 1937 al 1960, colloca le sue solide fondamenta sulla Storia dell’Italia del pre e del secondo dopoguerra, evidenziando i riferimenti a numerose opere teatrali firmate da Moscato, ma anche ai suoi ultimi racconti, pubblicati nel volumetto “Tempo che fu di scioscia”, il tutto ricondotto ad una frequente visione e revisione di un importante riferimento letterario, ossia il romanzo “La pelle” firmato da Curzio Malaparte.
La prima parte dello spettacolo è assolutamente connotata da una natura narrativa, affidata non solo allo stesso Enzo Moscato che regala una perfomance completa, ma anche all’ottima interpretazione del noto attore napoletano Massimo Andrei, creando un’omogena coppia artistica che sembra amalgamarsi perfettamente. Assolutamente differenti nelle sembianze e nell’utilizzo della voce, Moscato ed Andrei alternano una duplice ed antinomica personalità, quella di Sciuscetta e di Poppina, fondendosi, poi, in un’unica entità scenica, caratterizzata da molteplici sfaccettature. Innumerevoli sono anche gli elementi contenuti nel testo, costruito prima su una fluente narrazione, che incuriosisce il pubblico e rende agevole la comprensione del racconto, cosi come l'immediata individuazione dei personaggi principali, oltre ad evidenziare l’ambientazione e la contestualizzazione; poi il discorso si apre ad un universo atemporale, astorico, mistico e metaforico che giunge alla poesia ed al concetto di conoscenza. I piani di comprensione sono quindi molteplici ed appare profetica la scelta di affidare proprio ai giovani della compagnia - Giuseppe Affinito, Caterina Di Matteo, Francesco Moscato, Giancarlo Moscato, Peppe Moscato -  sotto le vesti di marinai, il ruolo allegorico di “commentatori”, dalle sembianze e dalle finalità di coro greco, che si interrogano, spiegano, manifestano umori e dissensi, intonano canti, si travestono, giocano sulle movenze del teatro tradizionale napoletano, sulla Commedia dell’Arte, su quella marionetta pulcinellesca che è sempre presente. La storia delle prostitute, imbarcatesi alla volta delle colonie italiane per continuare il loro lavoro anche in terre desertiche, si blocca a Malta, riportando in scena il topos del viaggio dalla meta mai raggiunta.  Il lazzaretto ospita le due protagoniste, in vista della quarantena e, forse, proprio quel luogo apre il racconto a mondi mistici inaspettati. La lebbra produce assonanza con “libbro”, vocabolo napoletano che indica il libro, attraverso il gioco della pronuncia quasi muta della vocale napoletana “e”. Entra in gioco il misterioso terzo personaggio: Lattarella, il cui soprannome è memore dei più eleganti epiteti omerici, è l’anziana prostituta partita alla volta delle terre del Mediterraneo, esempio a cui aspirano le giovani seguaci del mestiere. Morta o viva, sicuramente scomparsa, Lattarella affida le sue memorie, narrate, recitate e cantate, proprio ad un libro, conservato nel suo corsetto. La lebbra, ossia la malattia che colpisce questo personaggio evocato e mai visto, e che spaventa le due malcapitate, induce Lattarella alla follia: quella poesia instillata nel suo animo da un particolare untore, il fantomatico Asor Viola – gioco di parole e riferimento esplicito ad Alberto Asor Rosa - diventa la malattia del secolo, conduce la donna alla vita, alla rinascita, al cambiamento, ma anche alla morte. Attraverso, dunque, un unguento, le due prostitute potrebbero guarire o evitare il contagio, e così non morire. Ci si chiede, in effetti, quale sia la soluzione migliore. Moscato utilizza una descrizione storica di ciò che accadeva realmente in quegli anni, utilizzando due personaggi, posti ai margini della società, che raccontano, da un punto di vista inedito, la storia novecentesca: l’Italia del Fascismo, della legge Merlin, della chiusura delle case chiuse, dell’apparenza, delle prostitute in strada, del degrado vero e proprio, sociale e culturale. Il realismo del linguaggio si alterna alla poesia ed al canto napoletano, con inserimenti di canzoni degli anni ’20 e ’30, compresa la réclame fascista del latte, fino alle ambientazioni fantasmagoriche ed al volo in cielo, di stampo calviniano e pasoliniano, che intraprendono le due donne per ritornare ai Quartieri Spagnoli.  La lingua, meno ibrida che in altri testi, punta sul gioco degli accenti, sulla narrazione in metrica, sull’inversione delle vocali toniche, creando un abile ricamo vocale che è degno di un elevato prodotto artistico e culturale.
Ecco il racconto, dunque, di una “Grand’Estate”, di un tempo glorioso che fu, di una Napoli sconfitta, di un’Italia macchiata da una malattia, di un “oggi” che getta in mare i fantocci-feticci del passato.

Teatro Nuovo Napoli
6-10 aprile 2016
Casa del Contemporaneo
presenta
Grand’Estate
(Un delirio fantastorico, 1937/1960… ed oltre)
testo e regia Enzo Moscato
con
Massimo Andrei, Enzo Moscato
e con
Giuseppe Affinito, Caterina Di Matteo, Gino Grossi, Francesco Moscato,
Giancarlo Moscato, Peppe Moscato
scena e costumi Tata Barbalato     
musiche originali Claudio Romano  
disegno luci Cristina Donadio
ricerche musicali e fonica Teresa Di Monaco
organizzazione Claudio Affinito