Andrea Cramarossa attore, regista teatrale e scrittore italiano, studia presso l'Accademia Internazionale dell'Attore di Roma diretta da Mariagiovanna Rosati Hansen, dove si diploma attore nel 2000 e presso la Scuola Internazionale dell'Attore Comico di Reggio Emilia diretta da Antonio Fava, dove si diploma nel 2002. Nel 2003 fonda il Teatro delle Bambole, gruppo di ricerca dove vengono poste le prime basi per una nuova metodologia di approccio all'arte drammatica, applicando studi molto approfonditi sul suono, la voce, i sensi, la pressione corporea e ipotizzando un nuovo lavoro dell'attore su se stesso attraverso il proprio suono e un nuovo lavoro dell'attore attraverso il suono del
personaggio. Saranno allo Spazio Tertulliano di Milano dal 20 al 24 aprile con lo spettacolo “Se Cadere Imprigionare Amo”, con Silvia Cuccovillo, Federico Gobbi e Domenico Piscopo.
1. Cominciamo dal nome... Perché Teatro delle Bambole?
Per me, “Teatro delle Bambole”, assume, oggi, un significato “antico”. La “bambola”, l’ho intesa come un “oggetto magico”, in grado di assumere poteri anche taumaturgici, in grado di trasportare l’attore e il regista in una “dimensione altra”, impalpabile e vitale, vibrante di sensi veri, lontana dal mascheramento e dalla macchinazione della falsità scenica. La “bambola” è il feticcio al quale l’uomo-attore chiede di sé stesso e del mondo che lo rappresenta e che vuole essere rappresentato.
2. Come nasce la vostra produzione artistica?
Lavoriamo su progetti di ricerca precisi e ben delineati, seguendo il nostro Manifesto. I primi cinque anni di ricerca sono stati puri e non pensati e strutturati con l’intenzione di andare in scena. Dal 2008, si è deciso di applicare il frutto della nostra ricerca in spettacoli teatrali. I primi tre anni di ricerca applicata rientravano nel progetto “Dalla parola al legame” e sono stati prodotti gli spettacoli “Il terzo uomo”, “Concerto in sol maggiore per giardino d’infanzia” e “Kafka nel regno dei cieli”. Dal 2012 è partito il progetto di ricerca “La lingua degli insetti” che terminerà nel 2017, avendo una durata di cinque anni. “Se Cadere Imprigionare Amo” rientra in questo progetto, assieme ai Tre Studi sul Silenzio: “Maria Imperatrice”, “Del mio primo canto” e “La neve cade su tutte le rose”. La nostra produzione artistica nasce dalla nostra ricerca che a sua volta scaturisce da una intuizione che a sua volta nasce dal nostro lavoro sulle relazioni tra il corpo e il suono.
3. Che cosa vi ispira in particolare?
Il Silenzio, il Suono, il Sogno.
4. Come nasce il testo che vedremo in scena allo Spazio Tertulliano?
Come spesso accade, per noi, il testo nasce da una poesia.
5. Come lavorate sulla drammaturgia?
Della drammaturgia se ne occupa il drammaturgo, colui che è preposto ad accogliere l’ispirazione. Così come per la regia e per il lavoro attoriale, cerchiamo di distinguere gli ambiti professionali, in modo che ciascun artista abbia lo spazio e il tempo necessari per poter creare in libertà, indipendentemente dalle suggestioni che possano sbocciare dall’altrui animo umano. Tendiamo, ognuno nel suo, a incanalare i flussi energetici, che noi amiamo chiamare “oscillazioni”, nella qualità energetica attraverso la quale, ognuno e in quel momento, sente di potersi esprimere al meglio.
6. Il teatro oggi è sempre più luogo delle contaminazioni una pluralità di voci lo investono si pensi alle incursioni di giornalisti, ricercatori, filosofi e fisici nel mondo del teatro come vede questi cambiamenti?
Non mi stupisce. Tutti sono attratti dal teatro. Eppure tutti sarebbero pronti ad eliminare questa forma di espressione artistica. La si può amare e la si può detestare in egual misura. È un luogo magico, il teatro. È il luogo della verità per eccellenza, espressa in tutta la sua inimitabile e ineguagliabile forza. Per questa ragione è anche un luogo ambito. Tutti vorrebbero starci dentro, sopra e sotto. Un po’ meno in platea. È un po’ come per i libri: tutti vorrebbero scriverne uno e nessuno, poi, desidera andare in libreria e comprarne uno per leggerlo. E così, a teatro, non ci va nessuno, se non gli spettatori che ci vanno per inerzia. Credo anche che chi decide di usare un palcoscenico per esprimere i propri pensieri, farebbe bene ad andare in piazza e parlare alla gente, in una strada, una via o un ristorante, un caffè, una scuola. Ma il teatro no, lasciatelo ai teatranti: scrivete un testo ed affidatelo a loro che fanno questo mestiere e non pretendono di andare in un laboratorio di fisica a parlare di teatro e tantomeno in un’aula dell’Università a tenere lezioni che spetterebbero a chi ha studiato per essere in grado di trasmettere il sapere in quel modo e con quei mezzi.
7. Franco Cordelli in una sua recente pubblicazione parla del declino del teatro di regia, della regalità della voce del regista e della pluralità di figure che portano a compimento un’opera teatrale. Come vive il suo ruolo di regista teatrale?
Avverto anche io questo declino della figura del regista, sono d’accordo, e, francamente, me ne rammarico. Come attore, preferirei avere un regista con le idee chiare e un grande estro artistico al quale affidarmi. Senza il regista, l’attore è spacciato, prima di tutto perché deve fare i conti con le sabbie mobili del proprio ego, del proprio narcisismo, che inglobano e soffocano la sua arte e lo illudono, rendendolo monco nelle possibilità espressive. Il regista, senza l’attore, sarebbe altrettanto spacciato, poiché il suo esistere sarebbe inutile. Uno non può essere senza l’altro ed è un bene che siano figure distinte e separate, ognuna con la stessa missione ma entrambe con modalità e partecipazione all’atto creativo diverse. Non credo nelle regie di gruppo, nelle drammaturgie di gruppo e nemmeno nelle grandi “abbuffate attoriali” in cui tutti sono tutto. Credo che questa confusione di ruoli che si riscontra anche in molte altre professioni e che sia un comune denominatore di questa epoca, non può che inficiare e minare la professionalità di ciascuno. Certo, affinché ognuno faccia il suo, bisogna conoscere a menadito il proprio ruolo professionale e questo richiede impegno, sacrifico, studio, metodo e, oggi, non credo proprio che le persone, compresi gli “artisti”, abbiano tutta questa voglia di dedicare specificatamente il loro tempo ad una professionalizzazione della propria passione, riducendosi, così, a delle improvvisate macchiette, attori e registi del tutto e del niente. La trovo, in definitiva, una soluzione comoda tutt’altro che creativa.
8. Quali sono le difficoltà, oggi, che un artista di teatro incontra per poter andare in scena? E quali, invece, gli appagamenti che poi spingono gli stessi artisti a proseguire per la loro strada? Ha senso fare teatro oggi?
Sembrano domande epocali… Di difficoltà ce ne sono tantissime, molte ma molte di più di quando ho cominciato questo cammino venticinque anni fa. La difficoltà maggiore è determinata, secondo me, dal brulicante senso del potere, quella forma, spesso indefinibile, di potere assoluto che contamina qualsiasi cosa, specie le cose più belle, come la propria arte. Il potere, distorto e morboso, è ovunque e credo ci stia opprimendo sempre più. Mi pare che si decida di essere attori più per poter vincere un premio, un giorno, che per necessità artistica. Non so se riesco a spiegarmi. La vera difficoltà nasce da lì: dagli artisti stessi che sono il loro stesso male. Essi, non sono in grado di aggregarsi (ma chi, oggi, lo è veramente?) e questo da sempre. Ognuno vive nella propria isola, sgomitando affamando(si) gli spettatori, creando in essi necessità commerciali come se il luogo del teatro fosse un supermercato. Ma guardiamo cosa hanno fatto dei cinema, ad esempio! Cosa sono, in realtà, le multisala se non grandi ipermercati dei film? Sono altri posti dove le persone devono spendere soldi per alimentare il commercio e il consumo dei prodotti in vendita. E la stessa miserevole fine sta facendo il teatro, con Decreti sbagliati, fuorvianti, destabilizzanti; con lo spostamento dal “culto della cultura” al “culto del nulla”; con l’allontanamento dello spettatore fiero dell’arte teatrale (così come lo sono ancora gli spettatori dell’opera lirica, ad esempio), sostituito dallo spettatore-consumatore televisivo, che va a teatro sperando di dimenticarsi del tempo della sua vita, senza chiedere un vero cambiamento, un senso di crescita e di elevazione spirituale. Ciò che, nonostante tutto, ancora oggi continua in me a vivere, è innanzitutto una forza sconosciuta, una sorta di fiamma che arde nell’animo e che viene ravvivata dal rapporto professionale con gli attori, con l’arte che diventa concreta, con lo spettatore che ha capito tutto ciò che ha visto fino in fondo e sempre molto di più dell’operatore culturale di turno, sempre pronto ad addurre scuse improbabili e colpevolizzare gli spettatori stessi se il tuo spettacolo viene considerato inintelligibile e, quindi, non adatto a festival, rassegne e cartelloni. Ciò che oggi ancora mi spinge e mi appaga nel fare teatro è il teatro e, in esso, io trovo il suo senso.
9. Su quali progetti state concentrando la vostra attenzione?
“La lingua degli insetti” prosegue il suo cammino. Ora stiamo lavorando ad una riscrittura della “Medea” di Euripide e di Seneca dal titolo “Medea – Sintesi per quattro respiri”. Saremo in residenza a Tuscania (VT) nel mese di Giugno prossimo, presso il Supercinema e in collaborazione col Festival “Cosmonauti” e debutteremo a Luglio 2016 all’interno del Festival “Dionisiache” a Segesta (TP). In programma, sempre per la prossima estate, la ricerca sul grande drammaturgo, poeta e scrittore Jean Genet, con la messa in scena del testo originale “Il fiore del mio Genet”, alla fine del mese di Luglio all’interno del Festival “Notte di Poesia” di Bisceglie (BA). Poi, non so cosa ne sarà di queste nostre fatiche… Faremo di tutto per poter dare ad esse il giusto futuro, almeno a livello di possibilità. Per quanto riguarda le opportunità, non siamo noi a decidere. Inoltre, continueranno le rappresentazioni di “Se Cadere Imprigionare Amo”, “La neve cade su tutte le rose”, che tratta il tema dell’autismo e che ha debuttato a Utrecht, in Olanda, ed ha visto il sostegno dell’Università Stendhal di Grenoble in Francia, e di tutti gli spettacoli di Teatro per Ragazzi che, per scelta, trattano tematiche legate alla salvaguardia dell’ambiente e della natura: “Il Re degli Alberi”, “La Principessa Medusa”, “Il Principe Maiale” e il prossimo nuovo arrivato, “L’Azzurro Principe”, tutti spettacoli in collaborazione con l’Ufficio Educazione del WWF. La Natura è, per noi, un patrimonio inestimabile di Bellezza e di Grandezza che cerchiamo costantemente fuori e dentro di noi.