La caccia alla volpe è, come a tutti noto, lo sport o meglio il passatempo più tipicamente inglese, quasi una immagine stereotipata di quella cultura e di quella società. Forse è stata questa la conscia o inconscia suggestione da cui ha preso le mosse la drammaturgia che, nel 2011, ha reso famosa in Inghilterra la giovane e promettente scrittrice e attrice Dawn King. Narrazione dalla tonalità orwelliana e dalla sintassi più televisiva che profondamente teatrale si sviluppa in presente-futuro dai contorni vagamente apocalittici, nel quale una Inghilterra impoverita e inchiodata alle sue paure (il tema in epoca di Brexit è involontariamente piuttosto attuale) è percorsa da monaci/funzionari alla ricerca di volpi. Questo
simpatico animale è diventato infatti la personificazione del demonio, il segno espiatorio di un male misterioso che come un cancro corrode un paese perennemente sull’orlo della carestia e dell’implosione.
Una coppia di incolpevoli fattori, già colpita dalla morte del loro bambino e al centro di una stagione molto negativa per i raccolti, è così coinvolta nell’inchiesta di un giovane ed altrettanto tormentato “trovavolpi” e con lui trascinata al fondo delle reciproche disperazioni, fino al finale colpo di scena che non sveliamo.
Giocata tutta sull’attesa, la drammaturgia si apre e non si chiude ad alcun esito, ma, pur attraente nel suo singolare gioco narrativo, rimane legata alla superficie di una scrittura abile e intelligente, non riuscendo ad immergersi oltre quella superficie per trasformare fino in fondo le sue indubbie suggestioni in un vero e proprio scandaglio metaforico delle loro e delle nostre esistenze, trascinate tutte da maschere imposte da forze che sempre rimangono nell’ombra.
La messa in scena scorre così veloce e fluida ma, a mio avviso, non coinvolge oltre il piacere della narrazione e dell’ascolto, che la traduzione di Luca Viganò ben coglie e ripropone e cui la regia di Jacopo-Maria Bicocchi dà adeguato supporto.
Positiva la prestazione attoriale di Andrea Di Casa, Gisella Szaniszlò, Noemi Esposito e Bruno Ricci all’interno di una scenografia “povera” ma in grado di suggerire ed evocare con efficacia.
In scena alla “Piccola Corte”, nell’ambito della annuale rassegna di drammaturgia contemporanea del Teatro Stabile di Genova, dal 15 al 25 Giugno, è stata convintamente applaudita.
Foto Pitto