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Li abbiamo incontrati a Catania, in occasione della messinscena del loro primo spettacolo “Io, mai niente con nessuno avevo fatto” di Joele Anastasi al Chiostro di Ponente del Monastero dei Benedettini, per la rassegna “Nuovo Teatro”. Stiamo parlando della compagnia teatrale indipendente “Vuccirìa Teatro”, nata nel 2013 e fondata dai catanesi Joele Anastasi ed Enrico Sortino, che opera tra la Sicilia e Roma. La Compagnia collabora fin dall’inizio con l’attrice palermitana Federica Carruba Toscano e lavora sulla ricerca di un proprio linguaggio autorale che è incontro tra drammaturgia originale e ricerca attoriale attiva. Dal 2014 Vuccirìa Teatro fa parte del collettivo artistico Drao. Del

gruppo, della loro attività, dei sogni e dei sacrifici affrontati, abbiamo parlato con i due fondatori di “Vuccirìa Teatro”, Enrico Sortino e Joele Anastasi.

Perchè Vuccirìa Teatro?
“La parola Vuccirìa racchiude un pò la nostra essenza. Vuol dire “baccano” ed è anche il nome del famoso mercato palermitano. Nel palermitano è ambientato il nostro primo spettacolo. E ci sono tanti ricordi familiari legati a Joele Anastasi (autore e regista dei nostri testi). E così abbiamo voluto “rubare” questo nome e farlo nostro.
Al centro del lavoro della compagnia vi è l’attore e le sue possibilità creative: la sua capacità di creare e dare vita dall’interno ai mondi che lo appartengono.  Attori spogliati da qualunque cosa, in un “essenzialismo scenico” che spinge gli interpreti ad agire come “animali”: uno specchio e un veicolo per raccontare quegli stessi personaggi che sono “bestie” ai margini di una società. Anche quando questo margine diventa sempre più grande. Anche quando questo margine diventa sempre più la società stessa”.

Qual è il vostro modo di fare teatro?
“Usiamo spesso caratterizzazioni molto forti legati all’identità o alla provenienza, ma in definitiva non ci piace definirci a partire da queste. Le nostre storie raccontano di uomini e donne. Perché nell’estremo particolare si può raggiungere un livello di comunicazione che accomuna molti. Le emozioni sono di tutti e non hanno categorie. A livello pratico cerchiamo di partire molto dal corpo come primo luogo di confronto e scontro. Perché il corpo è la nostra prima casa”.

Quali difficoltà deve affrontare oggi una compagnia di giovani attori, autori, registi siciliani per affermarsi?
“Innanzitutto la provenienza. Noi siamo riusciti ad imporci nel panorama nazionale perché abbiamo iniziato il nostro percorso fuori. I nostri debutti sono tutti stati romani. Ma il nostro linguaggio tradisce subito, e ne siamo fieri, la nostra provenienza. Non vogliamo promuovere nessuna “esterofilia” ma semplicemente per un gruppo siciliano come noi è stato più semplice ottenere riscontri, critiche, visibilità e opportunità fuori dalla Sicilia. Difendendola sempre, però, con le unghie e con i denti. Non siamo mai riusciti ad ottenere nella nostra Città un dialogo con il teatro “istituzionale”. Ci ha accolti a Messina Ninni Bruschetta, al Vittorio Emanuele. Ci ha dato l’opportunità di stare nel teatro della città apparendo addirittura coraggioso. Ed è stato un grande successo. Poi abbiamo trovato l’accoglienza del Teatro Libero e del TMO di Palermo, di Zo a Catania e di Codex a Noto e in ultimo l’Università di Catania. Spesso, però, abbiamo sentito il peso di sguardi ostili da parte di alcune realtà isolane. Ci chiediamo il perché. Ma noi ci teniamo a sottolineare che non abbiamo santi in paradiso e che ci siamo sudati ogni cosa. Malgrado tutto, cerchiamo di portare alto il valore della nostra provenienza”.

Come giudicate la realtà teatrale siciliana?
“Estremamente frammentata, ma nulla di diverso dalla situazione nazionale. Troppo spesso manca una politica culturale vera e propria che tiri le fila del sistema. Che crei delle direzioni comuni. Ma sono le istituzioni che dovrebbero garantire attività di questo tipo. Sotto gli occhi tutti è la situazione, incresciosa, del Teatro Stabile di Catania. Assistiamo allo smantellamento del sistema cultura. Eppure la poesia scorre nelle vene di tanti artisti siciliani che spesso, come noi, sono costretti a cercare altrove delle possibilità. Eppure poi tanti di questi artisti ricevono, fuori, un grande consenso”.

Che genere di teatro preferite?
“Il teatro che sa emozionare e che sa farsi da tramite viscerale ed emotivo con lo spettatore. Il teatro che sa evocare più che descrivere”.

Un  giudizio sul pubblico e sui giovani…
“Non possiamo lamentarci se tanti giovani pensano che il teatro sia un luogo stantio e di noia perché troppo spesso lo è stato. Però, sempre più spesso, i giovani che scoprono il teatro di qualità, si innamorano e non lo lasciano più. Dobbiamo lottare affinché il teatro non sia considerato un luogo elitario ed “eccezionale”. Abbiamo due strumenti: fare spettacoli belli e che siano capaci di parlare alla gente del proprio tempo. Attuare una politica inclusiva. Portare sempre più teatro dentro le scuole. Non stiamo parlando di auspicare un teatro necessariamente di “nuova generazione” a prova di social. Anzi, spesso quelle sono operazioni che non incontrano il nostro gusto. Ma un teatro potente, che sa raccontare una storia e farlo con più gradi di lettura, arriva a tutti. E può coinvolgere tutti. Senza particolari distinzioni”.

Nuova scrittura e tecnica.. il vostro pensiero..
“Ci sono tante nuove scritture e questo è sempre un dato positivo. Certe volte, però, la qualità non è altissima. Noi auspichiamo una politica culturale che punti molto di più sulla scrittura creativa. Affinché questa voglia di mettersi in gioco sia affiancata da delle competenze maggiori. Poi ci stupiamo se tanti testi, format, sceneggiature americane anche se non “altissime” ci tengono incollati. Al talento, alla bramosia va sempre unita la tecnica. E quella non si inventa”.

A cosa state lavorando al momento?
“Al momento stiamo continuando a portare in scena i nostri tre spettacoli (Io, mai niente con nessuno avevo fatto, Battuage e Yesus Christo Vogue) e lavoriamo alla trasposizione filmica e in forma di romanzo di Io, mai niente con nessuno avevo fatto. E’ un anno che ci prendiamo per respirare e tirare le fila. In attesa di iniziare nuove avventure”.

Qual è lo spettacolo che portate in scena e che vi regala più soddisfazioni?
“Sicuramente “Io, mai niente con nessuno avevo fatto” ci ha regalato tanto. La visibilità iniziale, i premi, l’esperienza al San Diego International Fringe Festival e tanto altro. Ma tutti i nostri lavori ci hanno spesso dato la cosa più importante: un abbraccio con il pubblico. La nostra compagnia nasce proprio da questo grande riscontro. Prima ancora degli operatori o dei critici o degli addetti ai lavori è arrivato il grande consenso del pubblico. Variegato, di ogni età e provenienza. Gente comune ed intellettuali. Questo è ciò che ci ha dato la forza di continuare in un arduo cammino. Questo è il sogno più grande che speriamo possa durare a lungo”.