C’è un sentimento che purtroppo abbiamo imparato a giudicare negativo e vergognoso, dimenticando la forza dirompente che questo sentimento può esprimere, una forza capace di ribaltare e scoperchiare ipocrisie e debolezze, vigliaccherie e fughe, una forza che, per non andare troppo lontano nel tempo, si era incastonata in quegli straordinari personaggi bontempelliani che le scene italiane hanno dimenticato insieme al loro autore. Quando invece l’ingenuità, è questo il sentimento di cui parlavo, o meglio un atteggiamento, l’atteggiamento della onestà intellettuale e interiore, uno specchio limpido di cui tanto abbiamo ancora bisogno, diventa una sonda che esplora il mondo che ci circonda e il mondo che dentro di noi sprofonda, a partire dal piccolo e da ciò che ci è “prossimo”, allora siamo sorpresi e smascherati mentre scopriamo anche il mondo
“grande” quello che sembra non appartenerci e non essere mai nella disponibilità della nostra volontà.
Questo secondo me accade nelle notti di luglio e agosto a Montichiello, borgo antico del senese dentro il comune di Pienza, questo accade da cinquant’anni e non è un miracolo, perché la parola miracolo non dà ragione delle consapevoli volontà che hanno costruito il “Teatro povero di Montichiello” e le priverebbe dei meriti che invece hanno e hanno avuto nella crescita di un fenomeno, non solo artistico, ormai noto oltre le nostre provincie e anche oltre le nostre frontiere, fisiche e soprattutto mentali.
È più di uno specchio del mondo contemporaneo, sempre attento a coglierne le evoluzioni (intese anche purtroppo come “giravolte”) e gli impatti che queste hanno sui singoli e sulle comunità, è più di una metafora, è, come direbbe Walter Benjamin, una allegoria fatte vite concrete, di sangue e pensieri di ogni giorno, in cui il mondo non si riflette o si percepisce come un’eco che continuamente ad altro rimanda, ma inspiegabilmente “vive”.
Tutto, secondo me, nasce da un impasto singolare tra una idea drammaturgica raffinata e profonda, che si alimenta in una scrittura collettiva articolata e organizzata, negli anni, da Andrea Cresti, e una sapienza attoriale spontanea, non professionale o meglio non “professionista”, che tale idea si incarica di portare in scena, meglio carica su di sé nel transito scenico rintracciandone con spontaneità ed immediatezza, con lo sguardo limpido e sincero, “ingenuo” appunto, i legami con la propria esistenza.
Una esistenza fatta anche di passato, ovvero di tanti e diversi passati che qui si incarnano, ma soprattutto rintracciandone i legami con la propria comunità e quindi con un idea di “mondo” che sembra sempre perdersi ma che sempre “acchiappiamo” all’ultimo decisivo momento.
Merito del drammaturgo collettivo e del suo ultimo interprete che riesce ad adattare la scrittura e la sua direzione scenica a quella immediatezza, a quella assenza di mediazioni continue che talora caratterizza il “mestiere, trasformandola in un veicolo di conoscenza per chi scrive, per chi recita e soprattutto per chi è in platea.
Non lontano da Montichiello, nella toscana Pontedera ad inizi anni settanta un grande del teatro mondiale, Jerzy Grotowski, trasferì la sua vita e i suoi laboratori e con essi la sua intuizione di “Teatro Povero” che avrebbe seguito come giusto la sua strada, parallela forse e senza interferenze con quella della compagnia del teatro povero di Montichiello.
Stupisce, ma non troppo, che due esperienze così diverse abbiamo avuto e abbiamo un nome comune, “teatro povero”, ma in realtà non posso sfuggire alla suggestione di considerare come Grotowski in un certo senso ricercasse attraverso l’esercizio e lo studio una capacità espressiva che liberasse l’attore dai suoi tick, dalle sue maschere accademiche e talvolta sclerotizzate che impedivano una comunicazione diretta, il dono, tra sé e il pubblico, ricercasse cioè quello che la scena di Montichiello, in altre forme ovviamente e con diversissima consapevolezza, in fondo anch’essa suggeriva.
Dopo cinquant’anni è ancora una volta una calda notte estiva nella campagna e nella piazza del paese, gremita come sempre. Una “notte di attesa” come recita il titolo, una notte che è la notte della nostra vita in un momento di passaggio doloroso, una sorta di travaglio di cui non si vede ancora la fine luminosa di un nuovo parto.
Perplessa la comunità si domanda cosa è successo e cosa succederà, cerca ma non trova risposte immediate e allora si rinchiude tra alte mura a sopportare l’assedio di un nulla da cui, come lacerti lontani, come i fuochi barbari oltre l’orizzonte della Fortezza Bastiani, lampeggiano ricordi di altre lotte, di altre battaglie, di sconfitte e di vittorie.
Le domande si accavallano l’una all’altra e sembrano mordersi l’una con l’altra, fino a quando scopriamo che la risposta è davanti a noi, dentro di noi e siamo noi gli assedianti che assediamo noi stessi. La vita è un pendolo che oscilla tra passato e futuro ma il campo di battaglia è dentro ciascuno di noi e ogni vittoria, anche piccola, è la vittoria di tutti. Squillino dunque le trombe e i vecchi generali di cinquant’anni fa tornino a combattere e, solo grazie a questo, a vincere.
La piazza a lato della chiesa si rianima di luci, che nascondono per un po’ le stelle che popolano il cielo, e la gente applaude con la strana convinzione non di aver “assistito” ad uno spettacolo ma bensì di “averne fatto parte”.
“Notte di attesa” è il cinquantesimo spettacolo della Compagnia del teatro povero di Montichiello, e dopo mesi di preparazione, animerà il borgo dal 23 luglio al 14 Agosto. Per i suoi cinquant’anni così ben portati sono giunti gli auguri ed il sostegno del Ministro dei Beni Culturali e, tra gli altri, del Presidente della regione Toscana, mentre, a completare le numerose iniziative collaterali, si preannuncia un importante convegno per il prossimo autunno.
Non posso citare per ragioni di spazio, tutti gli attori e i collaboratori dell’evento (tutto il paese praticamente con le sue duecento anime comprese quelle di tre profughi dal Gambia qui accolti perché qui non si “fanno” solo parole). Oltre al drammaturgo, regista e Direttore Artistico Andrea Cresti cito, per tutti, Luchino Grappi Presidente della Cooperativa del Teatro Povero di Montichiello che oltre a promuovere il più antico e importante “teatro di comunità” sviluppa molte altre iniziative non solo teatrali, ed Elisa Sirianni dell’Ufficio Stampa per la cura che mette nel suo lavoro.
Foto di Emiliano Migliorucci