E sono sedici! Tramedautore compie sedici anni proprio quest’anno e si conferma un appuntamento imperdibile per scoprire la nuova drammaturgia. Tra il Piccolo Teatro Grassi e il Chiostro Nina Vinchi, a Milano Outis (direzione artistica di Angela Lucrezia Calicchio e Tatiana Olear) porta in scena un festival ricchissimo di appuntamenti per dieci giorni filati, dal 15 al 25 settembre 2016. Con il giusto orgoglio, gli organizzatori sottolineano il respiro europeo di questa annata d’eccezione, un susseguirsi di titoli di giovani drammaturghi italiani e di spettacoli di nomi emergenti della scena europea. Spicca Det er Ales (15 e 16 settembre), tratto dal romanzo del norvegese Jon Fosse per la regia di Gianluca Iumiento, coprodotto dal Det Norske Teatret di Oslo e dal festival Quartieri dell’arte. C’è tutta quella introspezione nordeuropea che da Ibsen in poi ci ha abituati a un
teatro grigio, anzi grigissimo, senza via di uscita, senza sbocchi psicoanalitici né vie di illuminazione. Un viaggio attraverso l’abbandono per giungere alla presa di coscienza più dolorosa che tocchi all’uomo, l’accettazione del proprio destino: temi antichissimi, da sempre frequentati dal teatro ma interpretati con quello stile asciutto, quasi scarnificato che è cifra espressiva di molta drammaturgia nordica. Interessantissimo l’esperimento di un mix di voci italiane, come Daniela Giordano e Gianluca Iumiento, con attori della compagnia norvegese, come Maria Sand.
Tuttavia la cifra vincente dell’edizione 2016 sta nella modalità con cui i taluni testi esteri sono proposti, approdo di un processo di ibridazione che è cominciato dentro il testo e dentro la cultura da cui è scaturito. Si tratta di una operazione antica come l’uomo e proprio per questo interessantissima da studiare per cogliere i segni dei tempi. Se già i latini partirono dall’Odissea per riscriverla e reinterpretarla attraverso la sapiente penna creatrice di Livio Andronico, e fu la prima opera letteraria romana, così via attraverso “traduzioni artistiche” di commedie e tragedie, la contaminazione culturale 2.0 è l’incontro di popoli e stili diversi. Ad esempio, nell’ambito di Hybrid Plays, progetto di “trascrizione culturale” che il Festival Quartieri dell'arte ha promosso in Europa, dai Balcani giunge Chi cazzo ha iniziato tutto questo (Instabile Immobilità) (17 settembre) del macedone Dejan Dukovski, nome acclamato ed esportatissimo del teatro contemporaneo al di là dell’Adriatico. Vissuto nel pieno della Guerra dei Balcani, Dejan ha saputo suggellare questa esperienza attraverso una sensibilità moderna, capace di ribaltare prospettive idealizzanti ed eroiche a favore della narrazione del dolore quotidiano, lo squallore delle piccole bruttezze del reale, l’assenza di grandiosità annichilita dall’uomo stesso nella sua miseria. Già vincitore del premio della critica a Venezia nel 1998 con il suo copione diventato film, La Polveriera, scritto a soli 24 anni, lo spettacolo in scena a Tramedautore è stato riscritto e reinterpretato dalla giovane scrittrice norvegese Agate Øksendal Kaupang. Come ogni contaminazione culturale che si rispetti, il testo in scena è il punto di approdo di due sensibilità che si incontrano, la risultante di due forze disomogenee. L’annichilimento operato dalla guerra, vero fil rouge di Dukovski, si scontra con il pessimismo disarmante della penna della Kaupang, operando una sorta di miracolo espressivo. Recitato in norvegese (sottotitolato), si alternano dialoghi piatti e azioni surreali, come rappresentazioni sceniche di spazi dell’anima in cui il fisico si fa metafisico. Un tuffo nella performance, un gioco al ribasso che pare voler fare a meno di tutto, di una vera scenografia, del lirismo, dell’espressività, della distinzione tra attore e performer. Cosa resta di tutto ciò? Forse ci vorrà del tempo per capire davvero la portata di questa operazione e le nuove vie di contaminazione sovranazionale che si aprono, ma per il momento resta una certa amarezza in bocca allo spettatore, come il senso di aver assistito a qualcosa di straordinario ma di altrettanto incompiuto. Gli incontri di due culture così apparentemente antitetiche promettono spaccati che tardano a proporsi, allettano di mondi espressivi immaginati ma che non si palesano davvero. Beninteso, si tratta di un’operazione sacrosanta e molto interessante, ma sembra parli più alla mente che al cuore. Ma forse questa è la quintessenza dell’arte contemporanea, uno svelamento di concetti arditi che solo in seconda battuta scatenano l’emozione.
Sullo stesso percorso contaminativo si pone anche Il colore del sole (18 settembre), ispirato all'omonimo romanzo di Andrea Camilleri, tutto dedicato a Caravaggio in fuga da Malta e in cui lo stesso Camilleri (il lavoro è ambientato per metà nel Seicento e per metà ai giorni nostri) è uno dei personaggi. Se già l’autore siciliano aveva giocato col tempo e con lo spazio, Gian Maria Cervo lo trasforma in puro metateatro come non se ne vedono di frequente.
Profughi, promesse, violenze profonde fino nell’anima: questi sono gli ingredienti esplosivi di Quando il sale non era l'unico fiore (19 settembre) del siciliano Joele Anastasi, con la regia di Benedetto Sicca, che rielabora Lilleskogen di Jon Jesper Halle, tra i maggiori drammaturghi norvegesi. Eccezionale la capacità di mantenere vivo quel codice espressivo grigio e opprimente tipico norvegese attraverso l’unione di fantasie infantili e spaccati duri di realtà, mentre non è mai ben chiaro dove stia il bene e dove stia il male.
Anche Bandierine al vento (20 settembre foto di Florio Badocchi), produzione di Evoè! Teatro con la regia di Toni Cafiero, merita di essere citata per la sua incredibile pervasività. Scritta dal celebre Philipp Löhle, vuole riflettere sulla felicità. Quella felicità a cui ambisce chiunque, ma che nel benessere generale perde di rilievo, si appanna, si diluisce fino a barcollare in quell’altare sacrificale che si rivela essere la famiglia.
Tra le proposte della drammaturgia italiana pura, lunga è la lista degli appuntamenti impedibili, da Little Europa, ultima produzione dei VicoQuartoMazzini, testo di Gabriele Paolocà fino a I camminatori della patente ubriaca, di Nicolò Sordo, giovane drammaturgo veneto fondatore della Compagnia I Filastrofici, da Andrea Cosentino col suo Lourdes, libero adattamento di Luca Ricci dall’omonimo romanzo d’esordio di Rosa Matteucci, che con un linguaggio misto di aulico e dialettale, fino ad Alessandro Machìa con la prima assoluta di testo Natura morta (foto Manuela Giusto) con attori del giovane Fabrizio Sinisi. Chiude il festival Esilio di Mariano Dammacco, secondo capitolo della Trilogia della Fine del Mondo, prodotto dalla Piccola Compagnia Dammacco.