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Immaginiamo che Scannasurice riesca a “figliare”, ossia che il personaggio, creato dal genio di Enzo Moscato, poi ritrovato dal regista Carlo Cerciello, che lo riporta in vita sulla scena trent’anni dopo, riesca simbolicamente ad avere una figlia drammaturgica e scenica. Non a caso lo stesso regista in “ Scannasurice” ha scelto la splendida Imma Villa per interpretare un travestito, monito di speranza materna e matrigna, all’interno della decadenza, in quell’allegorica trappola per topi che è la città di Napoli, dopo il terremoto del 1980. Non a caso lo stesso Annibale Ruccello interpretava Scannasurice; così la stessa Imma Villa diventa la madre di Betti, personaggio cardine di BORDELLO DI MARE CON

CITTÀ; e Cerciello apre questo spettacolo, in scena presso il Teatro Bellini di Napoli, dal 25 ottobre al 6 novembre, con la stessa scenografia di SCANNASURICE; non a caso proprio la figura di Scannasurice è scomparsa, sostituita da Betti, ad apertura spettacolo; non a caso il labirinto-tomba piomba sul palcoscenico all’inizio di BORDELLO DI MARE CON CITTÀ, facendo crollare la quarta parete e risucchiando il pubblico negli interni del bordello citato da Moscato. Insomma, se il regista pensava ad un forte tributo a Ruccello, a trent’anni dalla sua morte,  certamente la prima scena di questo spettacolo racchiude tutto, molto più del quadro che rappresenta Annibale travestito da Jennifer, immagine lugubre ed ironica insieme, poiché “recita”, costantemente e simbolicamente, nella parte della tenutaria del bordello, anche lei ormai defunta.
BORDELLO DI MARE CON CITTÀ  è del 1987, ma in realtà, come afferma lo stesso Moscato, è un testo che nasce inizialmente dal dolore per la scomparsa di Annibale, scritto rabbiosamente subito dopo la sua morte, avvenuta nel settembre del 1986. La sensazione, appunto, - e qui Cerciello comprende bene il senso – è quella di uno sfondamento del tempo e del luogo, che ci trascina qualche anno dopo la stesura di “Scannasurice”, andando a fondo, facendoci capire cosa è successo in seguito, sbirciando sotto l’abito di cui si è travestita la verità, sprofondata ormai nell’abisso. Questo bordello, dunque, è elemento cardine, a metà tra il passato, poetico e lugubre, di “Scannasurice”, quello surreale di “Piece Noire”  come di   di “Luparella”, ed il futuro mortuario, quello di “Ta kai Ta”. La storia della scelta di Titina, interpretata da una splendida Imma Villa, che eredita la direzione del bordello, dopo la morte di Donna Rosa Abate, tenutaria storica, ormai defunta ed “interpretata” dalla già citata immagine di Annibale Ruccello, è dolorosa, seppur permeata da un’ironia terribile che, nel corso dello spettacolo, diventa monito universale.  La storia della decadenza dell’umanità è marmorizzata, ancora una volta, nelle viscere della città napoletana, nei bassi, nei bordelli, in quei luoghi che raccontano la storia vera dell’uomo: in fondo, si parla di un bordello di mare, la città è un contorno. Il muro caduto, quello delle nicchie scenografiche di “Scannasurice”, non rappresenta solo un crollo ma anche una rivelazione, perché sotto gli orpelli si nasconde la verità, perché scendendo nelle viscere si comprende meglio il travestimento, la farsa della vita, il dolore della sopravvivenza.
 I due atti di BORDELLO DI MARE CON CITTÀ seguono un percorso ribaltato, perché la rigida e tradizionale messinscena del primo atto, durante il quale non si comprende ancora quale sia il citato mistero del miracolo, contrasta con la rappresentazione barocca del secondo atto, ancor più funereo ma nello stesso tempo più ricco di orpelli, di travestimenti, di caricature. Titina approfitta di un miracolo apparente, quello vissuto da Assunta, interpretata dall’ottima, intensa ed ironica Fulvia Carotenuto, per regalare la speranza di una vita migliore alla figlia, per attirare le attenzioni del popolo e della Chiesa, quest’ultima immortalata nell’immagine peccaminosa e corrotta del fratello Cardinale, interpretato da Lello Serao. L’ecclesiastico sarà portatore inconsapevole di morte, uccidendo la giovane Betti, durante l’atto sessuale. Elementi fondamentali della struttura drammaturgica sono sicuramente le due prostitute: Madamina, interpretata da Cristina Donadio, e Ivana Maione, nella parte di Cleò. La tragedia si compie, ma la scena terribile, sanguinolenta e lugubre, non appare, seppur citata e compresa dal pubblico: le tracce della tragedia classica, quella greca in particolare, emergono costantemente, attraverso il coro delle prostitute, vox populi, o l’immagine del Cardinale come deus ex machina. Cerciello, infatti, introduce questo personaggio, alla fine del primo atto, attraverso un ingresso trionfale, in posizione sopraelevata, mentre va incontro alla giovane Betti, interpretata dalla verace e volutamente acerba Sefora Russo. Il tutto avviene mentre la voce di Annibale Ruccello risuona nelle battute di “Ferdinando”, mentre si chiude il sipario. Ed ancora la stessa Betti appare come Ifigenia immolata da una madre, piuttosto che dal padre, o come ricordo di Polissena, che si immola contro la schiavitù, o come martire cristiana, vestita di bianco, che aspira ad un’ascesa, ad un cambiamento, ad un miglioramento: un’apparente ascesa che ha come risultato solo la morte. La stessa Titina appare come un’eroina tragica, soprattutto durante il “lamento funebre” rivolto alla figlia, a metà tra una Medea inconsapevole e la protagonista di una sceneggiata napoletana; infine Assunta, dal nome cristiano, qui diventa simbolicamente Cristo in croce che assurge ad intento diabolico e che trascina nel baratro tutti, svelando, però, la verità.
La rivelazione è, dunque, collocata all’interno del secondo atto che diventa  grottesco, caricaturale, in cui si abbandona la scenografia statica e speculare del primo atto – due entrate, due panche, due candelabri – per una costruzione piramidale, ancora di matrice classico-cristiana, con al centro una bara bianca ed una figura di giovane morta, la cui veste è macchiata da un drappo rosso sangue. Il biancore della scena del secondo atto è lacerato attraverso drappi ed orpelli rossi, colore ecclesiastico, simbolo di amore, simbolo di morte e di mutamento sessuale. La bara, basti ricordare il successivo “Ta kai Ta”, qui diventa altare di martirio e sacrificio, funzionale alla rivelazione della vera natura dei personaggi: le due prostitute ritornano agli abiti succinti ed al trucco volgare, la “santa” Assunta diventa diabolica rivelatrice di verità, l’algida e calcolatrice Titina si sgretola nel pianto materno; il Cardinale rimane grottescamente in mutande, ed infine anche Enzo Moscato, che nel primo atto interpreta il giornalista, simbolo del mondo esterno che chiede ma non comprende, ora si siede sul proscenio e ritorna nei suoi panni, quelli di drammaturgo che legge ed osserva la sua opera. Ai piedi della bara un’enorme maschera di Pulcinella piange drappi di lacrime rosse.
Il secondo atto, in verità, appare complesso e colpisce gli spettatori per alcune scelte registiche e per l’impatto emotivo e visivo, elementi insiti nel testo e nella stessa messinscena; l’eccessiva durata, però, sembra non essere gradita da un pubblico che appare già provato dalla comprensione della complessa ed ibrida lingua e di tutte le sue allegorie. La scelta di far recitar cantando le due prostitute, inoltre, colpisce l’attenzione degli spettatori che hanno già compreso lo scioglimento del fatto e che vorrebbero giungere alle didascaliche conclusioni: la scena appare, però, eccessivamente prolungata e, seppur connotata da una carica rituale, sembra frantumare l’atmosfera surreale che caratterizza l’intero atto, fino a cadere nelle sonorità da musica “tecno” che provengono dai vicoli della Napoli contemporanea. Il baratro diabolico pulsa attraverso i suoni multietnici ed ibridi della città che sprofonda.
La morte di Ruccello spinge Moscato ad una scrittura rabbiosa, la cui dolorosa forza si evince anche attraverso un’ironia, persistente, tagliente e sanguinolenta. La denuncia è rivolta alla Morte, intesa nel senso più vasto del termine: la fine di una battaglia, l’arrendersi, il fingere desiderio di verità. Morte della cultura, del teatro, di una città, non è da intendersi come riferimento specifico, bensì come visione d’insieme di una voragine che si è aperta simbolicamente con un terremoto, culturale e sociale, ed ha inghiottito tutti, anche un giovane e geniale drammaturgo come Ruccello. Il compianto di morte è rivolto alla giovane vergine uccisa dalla stessa Chiesa, alle generazioni future che, ancora una volta, muoiono davanti ai genitori, ma le lacrime sono, invece, quelle di una generazione che piange se stessa, de-generatrice di figli destinati alla morte prematura.
Foto di Andrea Falasconi

Teatro Bellini Napoli
25 ottobre – 6 novembre 2016
Elledieffe - La Compagnia di Teatro di Luca De Filippo / Teatro Elicantropo
BORDELLO DI MARE CON CITTA’
di Enzo Moscato, regia Carlo Cerciello
con (in o.a.)
Fulvia Carotenuto       Assunta
Cristina Donadio        Madamina
Ivana Maione             Cleò
Enzo Moscato            il giornalista
Sefora Russo              Betti
Lello Serao                il Cardinale
Imma Villa                 Titina
scene Roberto Crea
costumi Alessandro Ciammarughi,
suono Hubert Westkemper
musiche originali  Paolo Coletta
luci Cesare Accetta
 
aiuto regia Walter Cerrotta, Aniello Mallardo, trucco Vincenzo Cucchiara, assistente scenografo Michele Gigi, assistente ai costumi Concetta Nappi,  direttore di scena Mimmo Pirolla, macchinista Mariano Giamè, realizzazione scene Retroscena, realizzazione costumi Costumi d’Arte, foto di scena Andrea Falasconi, segreteria di produzione Deborah Frate, produzione e amministrazione Alessandro Mattias,  ufficio stampa Renato Rizzardi, consulenza organizzativa Natalia Di Iorio
una produzione Elledieffe e Teatro Elicantropo
 
Si ringrazia il fotografo Peppe Del Rossi per la gentile concessione della foto in locandina elaborata graficamente da Alessandro Ciammarughi e di quella presente in scena.