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Il pubblico viene accecato da una luce bianca feroce mentre aspetta l’inizio dello spettacolo. Forse è bene osservarci nei più piccoli particolari, nelle rughe, punti, nei, capelli. Forse è meglio capire in pochi secondi chi siamo e come siamo, prima di sprofondare nel buio del racconto. Prima di partire per Flatlandia. Voi siete mai stati a Flatlandia? Venite con noi. Il viaggio comincia alla Galleria Toledo, teatro napoletano che ospita dal 21 al 23 gennaio il profondo spettacolo della Societas Raffaello Sanzio. La lettura drammatica e musicale dell’omonimo e ottocentesco racconto fantastico scritto da Edwin A. Abott, nella traduzione di Masolino D’Amico. Fantascienza? Forse, ma ciò che colpisce è che il pubblico inizialmente distratto sembra ipnotizzarsi davanti alle parole di Chiara Guidi non staccandole più gli occhi di dosso. L’attrice interpreta un abitante di Flatlandia e seduta alla sua scrivania illuminata da penombre da studio polveroso, inforca gli occhiali trasformandosi apparentemente in una studiosa di fisica e matematica. Invece è semplicemente un quadrato, anzi, la voce di un quadrato. Questo spettacolo gioca sulle ricerche vocali grazie al sapiente lavoro dei fonici e all’abilità dell’attrice, ricreando voci e suoni che sbattono sulle pareti, rimbombano e tornano indietro, si intersecano, si accavallano, si dissolvono. Sarebbe bello poter avere degli spettatori ciechi: non perderebbero un minimo particolare di questo testo. Flatlandia, lo dice la stessa parola, è il luogo- non luogo della bidimensionalità. Tutto è piatto, tutto è bidimensionale. I suoi abitanti ci vivono anche bene e mister quadrato ci spiega come. L’attrice legge un racconto-trattato che viene dallo spazio, da una realtà parallela, dal mondo della fantasia, ma Abbott ce lo descrive come se lui fosse realmente andato lì. La relatività della visione viene data dall’altezza: una moneta che gira su un piano forma un alone circolare. Osservata orizzontalmente si deforma. Con una visione allo stesso grado del piano diventa punto. Come vivono gli abitanti di Flatlandia? Poligoni fatti di linee, triangoli che compongono la gerarchia sociale, soldati spilli, esseri che si riconoscono dalle voci e dal tatto. Il “tastare” il prossimo li fa riconoscere, li unisce, li fa socializzare. Il sogno del quadrato ci introduce al mondo delle frequenze musicali e sonore: il mondo delle linee vive a tempo, tra lo scandire del ritmo di un metronomo in scena e il caos delle urla che servono a riconoscersi. Poi il canto melodioso si eleva per confermare gli accoppiamenti tra linee. La fantasia portata alle estreme conseguenze si mescola alle leggi scientifiche ma il teatro ci mette il suo zampino facendoci immaginare tutt’altro che la scienza. E la profondità del testo è molto umana. Quando il quadrato, che poi è un avvocato nel suo mondo, incontra la sfera e la sua tridimensionalità nello spazio, proverà l’ebbrezza di diventare cubo. Ma tornare a Flatlandia significa appiattirsi, tornare indietro, desiderare l’oltre, addirittura la quarta dimensione. L’introspezione della psiche umana prende le forme di un luogo immaginario. Non conosciamo mai abbastanza le nostre possibilità e rifiutiamo ciò che è sconosciuto e misterioso. Ma se qualcuno spinge oltre la nostra conoscenza, che senso ha tornare indietro? Potremmo mai vedere allo stesso modo noi e la nostra vita? Lo spettacolo finisce troppo presto. Le esigenze teatrali ci offrono solo stralci del testo di Abbott ma l’idea di metterlo in scena è così innovativa che usciamo dal teatro curiosi di leggere il libro o come in attesa di un seguito scenico.

Visto alla Galleria Toledo, Napoli il 21 gennaio 2011.
Socìetas Raffaello Sanzio
FLATLANDIA
dall’omonimo racconto fantastico a più
dimensioni di Edwin Abbott Abbotte
lettura drammatica e musicale
di Chiara Guidi