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Gli ultimi saranno i primi? No, spesso restano ultimi. Serena Sinigaglia mette in scena una storia di ultimi scritta da Michele Santeramo, autore pluripremiato promessa della nuova drammaturgia italiana. Il testo parte dalla cronaca, da fatti che conosciamo più o meno tutti, per arrivare ad una metafora una poetica sui migranti sui rifugiati e su un Occidente che non può far altro che restare a guardare, impassibile. “2008. Olimpiadi di Pechino. Samia Yusuf Omar viene ripresa da tutte le telecamere del mondo accanto ai mostri sacri dell’atletica, corre per i 200 metri. Il risultato è scontato: è ultima, quasi dieci secondi di distacco dalla prima. Dieci secondi nei 200 metri sono un tempo infinito. Il tempo di Samia:

32.16.2012. Il Corriere della Sera pubblica una notizia: ‘Atleta somala muore su un barcone per raggiungere l’Italia: avrebbe voluto partecipare alle Olimpiadi di Londra”. Serena Sinigaglia si appassiona a questa storia, si parte dunque da qui...Da questa donna, regista e direttore artistico di un teatro che ha una lunga storia alle spalle fatta di accoglienza, diversità e tolleranza, un teatro che sa guardare agli ultimi. “Il ‘viaggio’ di Samia è anche il mio viaggio e il viaggio di tutti coloro che guardano con pena e preoccupazione a quanto succede ogni giorno a largo di Lampedusa.” La regia, nuda, essenziale, ricca di atmosfere sognanti, colloca i personaggi su un podio in bilico che appare come la prua di un barcone sulle onde nel nero seppia del Mediterraneo. Gli attori perfettamente immersi nelle emozioni della storia raccontano i tre diversi capitoli del testo fino ad arrivare alla preghiera ultima, la preghiera del Mare Nostrum momento conclusivo, la preghiera del Mediterraneo. Mare Nostrum che non sei nei cieli... non se nei cieli perché in cielo ci vanno gli altri. I tre protagonisti in linea con la storia, in modo particolare citerei per bravura Tindaro Granata e Chiara Stoppa molto surreali, maschere grottesche del teatro contemporaneo, meno convincente Valentina Picello, emotivamente sofferente in scena, forse troppo eccessiva, l’attore in scena deve lasciarsi attraversare, per trasmettere ogni emozione alla quarta parete altrimenti tutto resta dentro, tutto resta sulla pelle dell’attore e sulle sue lacrime in scena. Una produzione ATIR Teatro Ringhiera | con la collaborazione di NABA Milano – Nuova accademia di Belle Arti | con il sostegno di NEXT2015...una produzione coraggiosa e attenta alle storie degli altri... La storia di Samia Yusuf Omar è una storia esemplare, ogni sguardo rischia di diventare parziale, racconta Michele Santeramo, obiettivo ultimo far diventare quella storia uno specchio, che mostra cosa facciamo noi mentre il Mediterraneo si riempie di morti, cosa sono diventato io narratore, si chiede l’autore, nel tempo del suo viaggio, nel tempo di tutti questi viaggi che ormai somigliano a semplici notizie con le quali riempire tempo e pagine. La domanda è diventata una sola: noi che cataloghiamo le vite di chi muore in statistiche e flussi, noi, cosa siamo diventati? Domanda legittima ma il rischio poi qual è? Invece di parlare di Samia ancora una volta parliamo di noi del nostro mondo occidentale narcisistico ed egocentrico, ma questo lo sappiamo già...Oggi siamo diventati tutti ciarpieri...termine antico inusuale, vogliamo far tutto ma non sappiamo far niente. Spettacolo da vedere per riflettere su di noi e sugli altri che sono altro da noi...Difficile raccontare degli altri, in modo particolare degli altri che soffrono. Quale poesia oggi può ancora narrare l’orrore? L’orrore che ci riguarda ma che appena ci sfiora...Noi che siamo qui al sicuro sulle sponde del Mediterraneo e che siamo bene-essere. E soprattutto non essere come loro: l’empatia di un drammaturgo come può esprimere tutto ciò?

Milano, Teatro Ringhiera 12 novembre 2016