“Liberamente tratto dalla scena dei comici del Sogno di una notte di mezza estate di William Shakespeare”, recita il sottotitolo di un ancor più lungo titolo, quasi wertmulleriano: “La molto tragica storia di Piramo e Tisbe che muoiono per amore”. E a prima vista ci si potrebbe aspettare quelle riscritture post-moderne che prendono il Bardo, lo disossano e ne fanno un fingerfood teatrale da 70 minuti. Ma siamo al Teatro della Cooperativa, quello di via Hermada 8 a Milano (in scena fino al 20 novembre 2016). E allora è necessaria una premessa. C’è chi dice che le periferie vanno riqualificate, che bisogna portare il teatro nei quartieri popolari, che parte tutto dalla cultura. Poi c’è chi lo fa per davvero, concretamente. A ben vedere si contano sulle dita di una mano quelli che ci hanno provato, perché la Milano della cultura non esce mai dalla cerchia dei Bastioni! Nel 2001 entra
in scena Renato Sarti, formato con Strehler come attore, ha recitato al Piccolo e all’Elfo con mostri sacri della scena nazionale, è diventato un autore di chiara fama di teatro con una sfilza di testi azzeccati e ha saputo dare vita anche a testi televisivi di spiccata vis comica. In quel fatidico anno, Sarti fonda il Teatro della Cooperativa a Niguarda, proprio uno di quei quartieri che più fuori città non si può, quelli delle canzoni di Jannacci e delle foto in bianco e nero. Ci vuole un po’ di determinazione per andarci al suo Teatro, sfidare il traffico, l’ora di punta, il parcheggio che non c’è e allora puoi parcheggiare alla Coop lì accanto.
Poi entri e ti ritrovi in un mondo che pensavi non esistesse più. Nell’epoca in cui la destra e la sinistra si lavano insieme vicine vicine in lavatrice così i colori stingono e non si vedono più, al Teatro della Cooperativa passi sotto una bella bandierone della pace con la scritta ARCI, poi c’è la macchinetta del caffè e il boccione dell’acqua come nel dopolavoro aziendale, la bigliettaia è una sciura gentile e ti ringrazia pure col sorriso. Un altro mondo. Il biglietto te lo strappano due uomini che potrebbero aver appena staccato dall’officina lì dietro, niente divise radical chic come in certi teatri dei viali glam del centro, ma con quello sguardo di chi fa parte dell’organizzazione, chi sa che si fatica eccome a tirare avanti un teatro oggigiorno.
Ti siedi, un bel video di dieci minuti commemora Tina Anselmi appena deceduta, e ti viene da pensare ai Circoli di Sinistra di una volta, che servivano a formare il lavoratore, a dargli una coscienza civile, politica. Commozione generale al video e alle interviste, un sospiro amaro pensando a chi oggi occupa certi scranni, poi un attore arrotola il sipario (rosso fuoco naturalmente), a mano perché alla Cooperativa si fa così. Inizia lo spettacolo.
Un attore di colore che è il cummenda dell’impresa di pulizie La Scopata, segretario della Lega e appassionato di marijuana. Ecco il tenore della riscrittura, il sarcastico sul filo dell’attualità, il comico sessual-ammiccante che fa ridere di cuore anche la prima fila di pensionate fedelissime degli spettacoli di questo teatro. Le dipendenti dell’impresa, la pugliese, la russa, la comunista cubana e la grassottella emiliana (che sembra quasi una di quelle barzellette in cui c’è un italiano, un inglese e un francese), tra un aspirapolvere e un piumino provano la tragedia da mettere in scena al vicino Teatro Don Orione con tanto di competizione tra spettacoli in ballo. Il boss dell’impresa si lascia coinvolgere e partecipa alla scena. La scena, appunto, quella per eccellenza che secoli di repliche di “Sogno di una notte di mezza estate” ha visto rappresentare, teatro nel teatro, che riprende Ovidio e inserisce nella storia shakespeariana Piramo e Tisbe, gli amanti che si parlano attraverso la fessura di un muro tra le loro case. Un fraintendimento fa sì che l’uno creda che l’altra sia stata sbranata da un leone e si uccide tragicamente, mentre l’altra lo scopre e lo segue nel destino drammatico. Sarti non ne fa un dramma, anzi! Tutto comincia da un cast che finge di essere il più sgangherato che si può, fin dai soprannomi: Federica Fabiani è Mazza Lara, detta La Ramazza, Milvys Lopez Homen è Fidelia Castra, Marta Marangoni nei panni di (Pot Pourri, detta Enel, poi Rossana Mola è Lona Spazza, detta Spazzolona, mentre Elena Novoselova è Alena Sbarovna, detta Sborona e Rufin Doh Zéyénouin invece è El Cumenda. Funzionano, sono affiatati, pare stiano giocando a divertirsi prima ancora che a recitare.
Li aiuta un testo arguto e molto divertente, che salta da un genere all’altro con disinvoltura, un po’ Bagaglino, un po’ recita dell’oratorio, un po’ aguzza satira politica, un po’ costume e società alla Woody Allen, un po’ colta reinterpretazione degli stilemi comici del Bardo in chiave ribaltata, moderna. Ma il segreto è tutto qui, come ogni piatto di alta cucina parte da ingredienti in sé di poca cosa, ma è il compendio che determina il successo. Così anche per questo spettacolo, il risultato è azzeccato, si ride molto, si pensa, si esce soddisfatti alla sensazione di aver fatto parte di qualcosa. Qualcosa che non è solo uno spettacolo di qualità che piacerebbe tanto vedere circuitare anche oltre questa sala di centottantanove posti. E’ qualcosa che riesce nella rarissima impresa di tenere insieme le pensionate del quartiere con i ragazzi del centro sociale, la coppia elegantona alla prima uscita (lui le ha regalato i fiori e le tiene la mano) con il giornalista che ha guidato un’ora per arrivare fin lì. Non era nato per questo scopo il teatro?