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Nella sua continua, e talora tormentata, ricerca drammaturgico/musicale Andrea Liberovici sceglie con questo suo lavoro di confrontarsi con un caposaldo della modernità, quel Faust che transita la percezione che l’uomo ha di sé stesso dalle certezze di un umanesimo ordinato e razionale, che culmina nell’enciclopedismo illuminista, alle incertezze e alle opacità romantiche di un fondamento che sfugge, sballottato nelle tempeste e nei fulmini che si aprono alle voragini di un inconscio poco padroneggiabile. Il Faust di Goethe, dunque, visto come una sorta di libro preveggente, il libro della “preveggenza” di una contemporaneità allora nascente e anche inusualmente inquietante (un’opera “incommensurabile” ricorda Liberovici), e che oggi è declinante e fluida, una contemporaneità in cui l’umanità è prigioniera di quello stesso individualismo allora prepotentemente

rivendicato ed ora surrogato in solitudine oscura ed immobile in cui ogni individualità tende inesorabilmente a perdersi.
Così Mefistofele non è più un interlocutore affascinante, specchio rovesciato dell’onnipotenza dell’uomo “centro dell’universo” alla ricerca di una immortalità che non gli appartiene, ma una macchina muta (il computer) in cui rimbombano le eco ormai vuote delle mille facce deformate e perdute di uomini e di donne.
Ma paradossalmente non è un “altro” Mefistofele, è il medesimo Mefistofele declinato e distillato nella nostra contemporaneità, è il Mefistofele, come acutamente osserva Piero Citati nel suo Goethe che usa la parola per “dimenticare e negare lo spirito che le ha dato vita”.
È un aspro confronto che si apre, ricordando Benjamin, tra la parola rigida e fintamente razionale di questo moderno Mefistofele, che espone al nulla di sé, ed il suono e la musica in cui rintracciare di nuovo e finalmente lo spirito dell’umanità di cui la musica rimane potente metafora, in quanto, è ancora Piero Citati a scriverlo, “mentre Dio e Faust possono disprezzare le parole, perché confidano nella forza dell’amore e nell’attività dell’universo, Mefistofele costruisce sopra di esse le fondamenta del proprio regno terrestre”.
Faust diventa allora per Andrea Liberovici soprattutto una suggestione musicale che rinchiude i lacerti di una riflessione spezzata sull’essere di ciascuno di noi nel mondo, attraversando gli stati d’animo, i sentimenti, la condizione stessa del tempo e dello spazio e ricostruendo una direzione ed una profondità dispersa nella liquidità di questo nostro mondo.
Racchiusa così nella preziosità dei 13 movimenti, tra sinfonia e opera lirica, la drammaturgia si fa ‘multidisciplinatamente’ compatta nel rimando tra suoni, musica, immagini e parole guidate dal ritmo accattivante della voce di Helga Davis.
La forza della musica dal vivo dell’Ars Nova ensamble instrumental diretta da Philippe Nahon, riesce pertanto a rilanciare instancabilmente al di là dei suoi confini il monologo di una umanità chiusa in sé stessa, fino a ritrovare una speranza nel cammino verso l’altro da sé che è il fondamento ineludibile e indispensabile del sé.
Grazie anche alle citate collaborazioni e partecipazioni l’autore costruisce, per concludere, uno spettacolo di qualità, con afflati internazionali che dà merito alla coproduzione del Teatro Stabile di Genova nel cui cartellone sarà presente dal 30 novembre al 4 dicembre.