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Gli attori, membri dell’ormai famosa compagnia toscana GLI OMINI, si scusano con gli spettatori. O meglio, rivolgono al pubblico questo titolo, che nasce da un lungo progetto legato ad una ferrovia: PROGETTO T.,  appunto, che sta per “treno” e “teatro”, secondo quanto suggeriscono gli stessi attori, durante l’incontro che si è svolto il 2 dicembre, presso l’Ex Asilo Filangieri di Napoli. In scena, presso il Piccolo Bellini della città partenopea, dal 29 novembre al 4 dicembre, CI SCUSIAMO PER IL DISAGIO, spettacolo che ripropone la cifra stilistica della compagnia, unita al progetto ambizioso dell’Associazione Teatrale Pistoiese- Centro di Produzione Teatrale, cioè il recupero della Ferrovia transapenninica Porrettana, che unisce Pistoia a Bologna. Un lungo tempo trascorso attraverso momenti di osservazione e di dialogo con i viaggiatori, di messinscena, di scoperta, di

ricostruzione drammaturgica, ed ecco che i personaggi incontrati in stazione, o lungo la tratta ferroviaria citata, ricompaiono sul palcoscenico. Se da un lato questo lavoro rappresenta un’attenta osservazione della società, dall’altro, ciò che colpisce fortemente è proprio il concetto di “disagio” e la sua ricostruzione scenica e drammaturgica. Se nello spettacolo LA FAMIGLIA CAMPIONE, altro lavoro teatrale de GLI OMINI, un microcosmo racconta il disagio di una società ben più ampia e variegata, qui, al contrario, il disagio della società intera si sofferma su centinaia di microcosmi. Se osserviamo, infatti, attraverso un punto di vista ribaltato, gli attori diventano strumento di mediazione tra i personaggi reali, incontrati e riportati in scena, seppur in una forma caricaturale e mai del tutto realistica, ed il pubblico stesso. Sembra, dunque, che la frase “ci scusiamo per il disagio”, gioco di parole e di significato preso in prestito dagli annunci degli altoparlanti ferroviari, sia proprio rivolta al pubblico. Una sorta di avvertenza, cioè, su ciò che vedranno in scena. I personaggi e le loro storie, invece, non sembrano dimostrare nessun disagio, ma un adattamento straordinario alle condizioni di vita a cui sono soggetti. Ciò che emerge, dunque, non è una banale ambientazione su un “platform” ferroviario, bensì un racconto collocato al centro del binario, delineato scenicamente da lampade laterali, da un semaforo perennemente rosso, da una panchina poggiata sul binario: metafora della vita che si ferma e stenta ad andare avanti a causa del disagio. In questa situazione, ogni personaggio sembra attorniato da un mondo che, invece, procede inesorabile e prova disagio nei confronti di coloro che vivono in condizioni particolari, considerate dalla società “fuori dal comune”. Storie di vita che disegnano personaggi come il barbone artista e la sua parola biascicata, la famiglia smembrata e ricomposta in maniera sbilenca, la donna emancipata ma in realtà frutto di un’adolescenza costretta al matrimonio e all’isolamento, un omosessuale ormai in disuso. Insomma, ciò che provoca disagio nello spettatore è il racconto a ritroso di vite inconsuete e quella paradossale tristezza provata da chi oggi non vive più nel suo passato disagiato. La normalità, insita in questi racconti, sembra essere il vero punto di vista, attraverso cui osservare la molteplicità della vita che ci circonda. Chi, dunque, vive e prova il vero disagio? La forma drammaturgica costituisce un prodotto diverso rispetto alla testualità dei racconti orali, registrati e poi pazientemente sbobinati e, quindi, riscritti. La drammaturgia è, dunque, costruita attraverso un collage di quadri, caratterizzati da specifici personaggi e dalle loro storie; il tutto è frammentato e cucito attraverso ritorni e avanzamenti. Si procede nel racconto ma si torna indietro a recuperare personaggi e storie interrotte nel momento in cui il pubblico comincia ad incuriosirsi. La panchina costituisce la scena vera e propria, poiché, quando i personaggi, narratori o ascoltatori, si allontanano da questo oggetto, la comunicazione sembra cedere e farsi confusa. La panchina diventa, così, punto di contatto, confessionale ferroviario e metropolitano, calamita: non appena ci si alza, le vite si rimescolano in una miriade di ramificazioni confuse e difficilmente identificabili.
Come ne LA FAMIGLIA CAMPIONE, anche in questo spettacolo compare un quarto membro della compagnia, non visibile ma immaginato: in questo caso l’altoparlante che annuncia treni, scioperi e ritardi, diventa un vero e proprio personaggio, un guru, un deus ex machina che ricuce i momenti, riporta all’ordine, stimola la conversazione, accende le reazioni. Da semplice oggetto dalla voce registrata, esso comincia ad interloquire con i personaggi, trasformandosi nel quarto attore invisibile. La lingua utilizzata dalla compagnia è un italiano fortemente regionale ma non dialettizzato, attraverso cui le sonorità della lingua toscana e la profonda ed amara ironia, rendono colorita  l’immagine di un’ Italia, descritta attraverso queste storie e ancora nettamente divisa tra Sud e Nord. Nonostante alcuni momenti siano caratterizzati da rallentamenti, lungaggini e ripetizioni, la compagnia rende originale e ben costruita questa particolare osservazione sulle problematiche sociali, trasformata, poi, in drammaturgia attraverso l’utilizzo della narrazione e del dialogo. Una tematica, dunque, che rischia di essere sottovalutata dal pubblico perché, in effetti, non inedita: è, dunque, fondamentale che la forma di racconto scenico sia assolutamente e continuamente innovativa e rinnovata.

Foto di Gabriele Acerboni

CI SCUSIAMO PER IL DISAGIO
Teatro Bellini Napoli
29 novembre -4 dicembre 2016
di e con Francesco Rotelli, Francesca Sarteanesi, Giulia Zacchini e Luca Zacchini
uno spettacolo de Gli Omini
produzione Associazione Teatrale Pistoiese-Centro di Produzione Teatrale
con il sostegno di Ministero dei Beni e delle Attività Culturali e del Turismo, Regione Toscana