La cosiddetta commedia di “costume” nella sua moderna declinazione anglosassone conserva, a mio avviso, inconfessati legami con la più antica commedia dell’arte perché più che commedia di caratteri è commedia di maschere, ma che usa le maschere, a differenza con il passato, per evidenziarne la contemporanea ingabbiante incoerenza rispetto ad una essenza umana fluida e quasi in via di disfacimento. Mi sembra questo il giudizio che può ricavarsi dalla divertente drammaturgia dello statunitense Christopher Durang, più noto da noi come sceneggiatore di successo, datata 1981 ma certamente ancora molto attuale e giocata appunto sull’intelligente assemblaggio scenico di alcuni dei più consolidati luoghi comuni (lo psicoanalista, l’omosessuale con madre possessiva, la sessualità fluttuante e quant’altro) allo scopo di mostrarne, divertendo, le frizioni con la sincerità di un
esistere negata e coartata da ruoli e convenzioni.
Ne nasce un divertissement teatrale dinamico e pieno di gags, con una sintassi più vicina ad una sit-comedy televisiva che a Broadway, per l’alternarsi mai caotico di rapidi quadri ciascuno conchiuso in sé ed insieme aperto al suo seguito conseguente. Una drammaturgia dunque intimamente votata alla “sceneggiatura” come tutte quelle dello statunitense e quasi tutte quelle transitate sui palcoscenici di New York.
Un linguaggio agevole perché conosciuto e frequentato abitualmente dai più, ma quasi diligentemente votato ad indirizzare lo sguardo del pubblico anche ad elementi di riflessione più profondi circa la condizione umana nella nostra Società, ma sempre come scivolando sulle onde e sugli abissi con un surf colorato.
Sullo sfondo dunque l’inadeguatezza, la confusione ed anche il dolore che proviamo incastrati nei nostri ruoli e nelle nostre maschere, al servizio di un potere sfuggente e insieme attraente come la Medusa, sentimenti e sensazioni che alimentano contemporaneamente il tragico ed il comico quando questo è guidato da un occhio perspicace.
Non può peraltro sfuggire allo sguardo del critico che i teatri si riempiono più facilmente in questo secondo caso, ma ben venga comunque.
Questo testo è dunque una coerente evoluzione del vaudeville con un neanche troppo nascosto coté educativo, suggellato dal confuso Happy End nel quale ciascuno ritrova nella relazione con l’altro uno scopo e motivazioni perdute.
Produzione della compagnia “Attori & Tecnici” si avvale della bella traduzione di Giovanni Lombardo Radice e della regia di Stefano Messina. In scena Sebastiano Colla, Crescenza Guarnieri, Carlo Lizzani, Annalisa di Nola, lo stesso Stefano Messina e Valerio Camelin, bravi e coraggiosamente coinvolti in una sorta di girotondo “motivazionale”.
Scenografia mobile, quasi una sintassi della sintassi scenica, di Alessandro Chiti, costumi fatti soprattutto di colori di Isabella Rizzo, musiche “americane” di Pino Cangialosi, luci di Alessandro Pezza.
In scena al teatro Duse di Genova dall’8 al 12 febbraio. La prima, a conferma di quanto prima rilevato, ha visto inusualmente riempirsi anche la galleria. Molti gli applausi.