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La drammaturgia di Giovanni Meola si sofferma costantemente sulla denuncia della condizione di apparenza, intesa come copertura e travestimento, che caratterizza le famiglie italiane degli ultimi vent’anni, o meglio la cosiddetta “media borghesia”. Oltre alla descrizione degli strati sociali affetti da problematiche evidenti, l’autore regista e attore indaga sull’apparente condizione di stabilità, culturale ed economica, che questa classe sociale italiana ostenta. Meola ritorna in scena, stavolta come attore e regista, adattando liberamente e drammaturgicamente il testo-denuncia firmato da Vincenzo Imperatore, editorialista di Lettera43.it ed ex manager bancario. Questo comporta una trasformazione drammaturgica di un testo dalla natura letteraria, evidentemente legata al romanzo-dossier, che protende verso una narrazione particolareggiata delle tecniche attraverso cui le

banche guadagnano soldi a tutti i costi. La storia di Imperatore è quella di un giovane del Sud, proveniente dal quartiere povero, spinto da una madre, poco colta ma intuitiva, a percorrere la strada del successo e dello studio: laurea in economia, master, banca. Il concetto della duplice mamma, quella naturale e quella acquisita, si aggancia alla visione metaforica del mondo bancario, riportata poi in scena, soprattutto durante la prima parte dello spettacolo, descrivendo un vero e proprio rituale religioso. La scalata al successo, dunque, è inevitabilmente gerarchica: chi riesce a guadagnare una quantità maggiore di soldi, anche a scapito dell’incolumità economica dei clienti e dei cittadini, avrà diritto a maggiori emolumenti, a vacanze premio, a vantaggi indescrivibili. L’etica del lavoro si scontra con il successo a tutti i costi, convincendo i poveri cittadini o gli imprenditori in crisi a pagare delle polizze assicurative in cambio di immediati prestiti. Usura autorizzata, potremmo definirla e, certamente, un testo denuncia come questo tiene conto anche del risvolto della medaglia, ossia dei cambiamenti economici che l’Italia ha subito a partire dagli anni ’90 in poi.
Lo spettacolo è nettamente diviso in tre parti: la prima, più narrativa, racconta gli esordi del protagonista; la seconda è allegorica perché, attraverso l’utilizzo di oggetti di scena e di un’attrice-musicista, si costruisce in scena il rito religioso; la terza è documentaria, poiché, attraverso la narrazione, si descrivono con accuratezza le fasi dell’inganno.
I personaggi sono citati e descritti, attraverso il racconto, dallo stesso Meola, il quale interpreta il protagonista che narra in prima persona. Accanto a lui, la musicista ed interprete Daniela Esposito, colei che firma le musiche originali dello spettacolo, attraverso l’utilizzo della fisarmonica (dal vivo), e di alcuni oggetti e strumenti che riproducono rumori e creano atmosfere. Il regista e attore sceglie, dunque, di colmare i vuoti, di unire i passaggi temporali e di cucire il tessuto narrativo attraverso la presenza femminile. Esposito, infatti, svela una particolare mimica facciale che materializza in scena i personaggi citati e narrati, evidenziando delle immaginarie vignette che contengono, a loro volta, stralci di testo.
Al centro della scena una sedia-trono, l’altare di questa nuova religione del denaro che rende schiavi allo stesso modo, ma con modalità differenti, sia i bisognosi che coloro che speculano sul bisogno.
Il gioco di luci e di atmosfere caratterizza i momenti in cui il “rito religioso” incombe ed inquieta, soprattutto perché il nuovo dio da venerare è definito “Mamma Banca”.
Quando negli anni ’90 la tendenza economica italiana punta al recupero ed al mantenimento delle somme di denaro nelle casse delle banche, il castello fatato crolla. Ci si chiede, dunque, se la denuncia di Imperatore abbia preso le mosse dal cambiamento di tendenza, dalla crisi, e solo da qual momento, quindi, alcuni manager spietati di Mamma Banca abbiano compreso i loro “peccati”. Dal punto di vista teatrale riscopriamo in Meola un ottimo attore, forse a lungo sopito e “oscurato” dal ruolo di regista e drammaturgo. Sicuramente la narrazione di Imperatore è molto vicina alla scrittura di Meola, creando un connubio affine ad entrambi. Un plauso va a Daniela Esposito che riesce a coniugare i momenti musicali, quelli ironici, le interpretazioni da personaggio muto, ma fortemente espressivo, presentando in scena un’artista elegante ed eclettica. Lascia perplessi, invece, la struttura drammaturgica che, recuperando il testo originario, si sofferma a lungo su una terminologia tecnica, conosciuta sicuramente dal pubblico, ma che si dilunga eccessivamente su alcune particolarità di ambito bancario che allentano l’attenzione degli spettatori. La descrizione particolareggiata delle fasi e dei meccanismi economici e bancari, che distruggono famiglie ed imprenditori, appare produttiva, dal punto di vista drammaturgico, nel momento in cui si svelano i colpi di scena, gli imbrogli, le ipocrisie, le ruberie perpetrare agli ignari cittadini bisognosi. Manca, però, un ulteriore approfondimento sullo stato d’animo dei personaggi e, soprattutto, su quello del protagonista che, portando avanti una tale polemica e denunciando la gravità di una situazione che si protrae ancora oggi, dovrebbe caricarsi di emozioni contrastanti, dettate dal passaggio repentino dall’adulazione nei confronti di una religione diabolica al pentimento assoluto. Il protagonista, invece, sembra mantenere il suo ruolo, rigido e freddo, di narratore che svela a tutti la verità. Il pubblico, dunque, si chiede se il manager spietato sia davvero pentito, oppure desideri solamente punire a tutti i costi quella Mamma-Banca che lo ha tradito e alla quale ha dedicato tutta la sua vita.

Foto Nina Borrelli

IO SO E HO LE PROVE
Teatro Nuovo Napoli
3 marzo 2017
5 marzo 2017
Le Pecore nere
Virus Teatrali
in
Io so e ho le prove
(la conversione di un ex-manager bancario)
concertato per corpo, parole, suoni, rumori
testo e regia Giovanni Meola
liberamente tratto dall’omonimo libro di Vincenzo Imperatore
(2014, Edizioni Chiarelettere)
con
Giovanni Meola (corpo, parole)
Daniela Esposito (suoni, rumori)
assistente alla regia Annalisa Miele
regista assistente Chiara Vitiello
musiche originali Daniela Esposito
scenografia Monica Costigliola, Angelo De Tommaso, costumi Annalisa Ciaramella