Gli anni Venti, la giovinezza, Roma a primavera, nasce un amore. Laura ed Enrico si conoscono, lui così strampalato con tutte le sue passioni per le stelle e la fisica, lei così bella e delicata, studentessa di Lettere. Il primo bacio, un amore profondo, il matrimonio. E’ la storia di un amore, quella in scena al Teatro Elfo Puccini di Milano fino al 12 marzo (corso Buenos Aires, 33), in tournée dal 17 marzo a Muggia (TS) e dal 30 marzo a Roma. Ma se lui è Enrico Fermi, il fisico italiano più brillante del Novecento, e lei è ebrea, la storia è destinata a complicarsi subito. Fermi è già docente universitario poco più che ventenne, conquista visibilità con le sue ricerche e gli viene conferito il premio Nobel per la Fisica nel
1938. Partito per Stoccolma con la moglie Laura, non faranno più ritorno nell’Italia fascista delle leggi razziali, ma voleranno direttamente negli Stati Uniti.
Tutta la vicenda è magistralmente narrata dal punto di vista di Laura. Prima l’amore che sboccia, poi le emozioni della giovinezza, il matrimonio con un uomo così meritevole, la fuga dall’Italia lasciando la propria famiglia all’ignoto del destino. Negli Stati Uniti Fermi è coinvolto nel top secret “Progetto Manhattan”, per dedicarsi al quale la famiglia si trasferisce a Los Alamos, nel deserto. E’ un deserto prima di tutto umano, fatto di isolamento e lunghi silenzi, più una prigione che un centro studi. I fisici più rilevanti al mondo stanno lavorando «all’energia di mille soli» che risolverà la guerra e sconfiggerà il nazismo. Laura non può chiedere nulla al marito, non vuole. Intanto le lettere della sua famiglia in Italia cessano di giungere, angoscia su angoscia. La guerra finisce, Hitler si suicida ma il progetto va avanti, con il suo carico di morte.
Come si può amare un uomo per davvero senza sapere chi sia veramente? E’ il filo conduttore dell’intera pièce, sgomitolato attraverso il mito di Amore e Psiche. Il giorno in cui Psiche vedrà in volto Amore, lo perderà. O lo avrà per sempre. L’amore è così, se l’amato svela il suo volto, lo perdi o la avrai per sempre.
Gli sopravvive, Laura. Nella realtà come nella finzione teatrale, per più di venti anni. E’ un lungo lasso di tempo in cui l’accettazione del volto di suo marito fa la pace con l’amore profondo che prova per lui.
Il testo è intenso, un abilissimo intreccio drammaturgico di più piani narrativi. La vicenda della famiglia di Laura, alla fine deportata ad Auschwitz, la vicenda del cuore di Laura, in trasformazione umana continua, il rapporto col marito. Interferiscono con tutto ciò le vicende della storia mondiale, la bomba atomica e la rinascita dopo la guerra. Il linguaggio è il monologo arricchito di sogni, ricordi, proiezioni e premonizioni sul filo labile che lega la realtà al mito.
Cinzia Spanò, autrice e protagonista, incarna intensamente questo intrecciarsi di piani ed emozioni. Una recitazione appassionata e sentita nel corpo dell’attrice-autrice, che vibra con le parole e riluce di intensità spiazzante, quasi uno psicodramma catartico condiviso col pubblico. Quei novanta minuti filano via lisci come l’olio perché a ben vedere raccontano dell’animo di tutto noi, quel continuo superamento del limite tra noi e l’altro, tra il sapere e il comprendere.
Una tappa notevole della drammaturgia contemporanea.