L’avevano intuito i medievali per primi che il teatro è lo strumento principe per educare, poi i Gesuiti lo hanno applicato proprio alla scuola. Misteri religiosi, vite dei santi e pie rappresentazioni la facevano da padrona, ma poi nel Novecento la scuola si è appropriata del teatro per insegnare concetti ostici, autori soporiferi e periodi storici indigesti. Ne è nato quel “teatro per le scuole”, una sorta di teatro con la lettera minuscola in cui il testo deve essere interessante- non noioso per carità, non troppo introspettivo perché si sa sono ragazzi, in sala non c’è mai silenzio per davvero. Fortunatamente grandi compagnie teatrali come Quelli di Grock (Manifatture Teatrali Milanesi) hanno saputo invertire la tendenza. Resta la necessità di portare ai ragazzi molti contenuti non semplici e percepiti come assai distanti. Così Valeria Cavalli, con l’aiuto di Claudio Intropido, si sono messi al lavoro per
operare il miracolo: un testo teatrale per ragazzi che fosse teatro per davvero, uno spettacolo attorno alla figura di Giacomo Leopardi che non parlasse di Leopardi. Dopo un’ eccezionale tournée nelle scuole, fino al 9 aprile torna in scena al Teatro Leonardo di Milano (via Ampère, 1 ang. piazza Leonardo da Vinci) “Fuori Misura. Il Leopardi come non ve l’ha mai raccontato nessuno”, storia di un giovane insegnante disoccupato che sbarca il lunario al call center, fino alla chiamata di un istituto, iquello in cui aveva studiato da ragazzo: una supplenza! La professoressa che sostituisce gli lascia l’incarico di spiegare Leopardi e nel giovane prof scatta l’ansia, il senso di inadeguatezza e la voglia di lasciar perdere, ossia quel ventaglio di sentimenti che sventola l’anima dei ragazzi adolescenti dell’intero orbe terraqueo.
Poi le chiacchiere col portinaio marocchino del condominio dove vive, tanto semplice quanto incisivo, la voglia di superare la paura per realizzare finalmente il sogno di una vita – l’insegnamento -, la sfida disumana di dover raccontare il più entusiasmante dei poeti sono alla base della rinascita. Il professor Roversi si lancia in un monologo con la classe - cioè gli spettatori in sala – tutto intrecciato di citazioni, declamazioni di versi, analisi di quanto quel Leopardi di oltre 2 secoli fa fosse uguale a noi per sfortune, paure e dolori.
Andrea Robbiano salta, canta, legge, sussurra e interpreta i vari ruoli in un arcobaleno di canali espressivi che lo impegnano per quasi un’ora e mezza con quel pubblico difficilissimo che per oltre 200 repliche sono stati gli studenti adolescenti. Maldisposti e sbuffanti in partenza, accattivati dalle doti recitative del buon Robbiano ma anche da un testo pop, i ragazzi sono i primi ad apprezzare. Il pregio di questa pièce, però, è il suo valore intrinseco. Non è un testo “minus habens” per ragazzini, ma un equilibrato connubio di linguaggi diversi – la parola, il gesto, la declamazione, la musica pop contemporanea - e un’accurata ricerca dei noccioli espressivi di base di Leopardi.
Lo spettatore non esce di sala conoscendo di più di Leopardi, ma probabilmente avendo superato quel blocco diffuso circa gli “autoroni” da portare all’esame di Maturità. Quel senso di rifiuto misto alla brezza della giovinezza, quel senso di interesse nascosto sotto la muffa di lezioni soporifere. Leopardi, quello vero, viene fuori eccome in questo spettacolo, un ragazzo dei nostri e un giovane uomo un po’ sfortunato e un po’ pessimista. Impossibile non provare tenerezza, frequente immedesimarsi con lui.
La regia è molto light, una cattedra a centro palco e luci dirette. Tutto è nelle mani di Robbiano, che se la gioca assai abilmente! Bravi!
Foto Roberto Rognoni