Scandalo e provocazione a teatro, soprattutto in questa contemporaneità incerta di sé stessa, sono talora o spesso “equivoci”, termine da intendersi sia come sostantivo che come aggettivo, nel senso che talora o spesso camuffano il vuoto che si portano dentro. Così questa drammaturgica viene opportunamente a smentirci ed appare così poco scandalosa tanto più è provocatoria, e ovviamente viceversa, perché scandaglia il vuoto che non è dentro di sé ma che bensì circonda le nostre identità esistenziali polverizzate nella società e frastagliate nei loro fantasmatici confini. L’ironia sapida, ma sempre benevola e quasi ingenua (omnia munda mundis) di Antonio Rezza, si fa rivendicazione affettuosa del suo e del nostro sé, del suo e del nostro posto nel mondo e nella Storia, quasi fosse un Fool shakespeariano che ti porta e ti accosta un lume nel vuoto dei tuoi sogni e nella tempesta dei tuoi
incubi in una notte che sembra farsi eterna.
La performance scenica si dipana infatti sempre ben ancorata ad una tessitura drammaturgica mai casuale, che nel transito allaccia i suoi innumerevoli terminali di senso alle spine ancora accese della nostra più intima sensibilità, fino ad aprirsi, alla sua conclusione, alla apparente spontaneità di un canovaccio comico che ci trascina al suo centro.
In questo centro appunto il clown e la sua spalla (il bravo Armando Novara), translitterazione impietosa e divertente della nostra solitudine acutamente raffigurata come la ricerca disperata di una immagine che ci fissi e ci rappresenti. Siamo in uno studio fotografico, infatti, ed il fotografo surroga l’assenza di relazioni con peripezie della mente che alla fine, proprio loro, inevitabilmente lo inchiodano al suo nulla.
Una sintassi che è una suggestione di Beckett e Jonesco e a cui la prestazione fisica di Antonio Rezza, quasi circense nella sua rapida molteplicità, conferisce sangue e materia precipitandola, oltre ogni razionalizzazione, nella concretezza del nostro esistere quotidiano.
A questa sintassi recitativa Flavia Mastrella offre un contesto scenografico straordinariamente coerente, libero da confini e aperto tra macrocosmo e microcosmo, totemico ed insieme vivo della vita di tutti i giorni, bianco come l’innocenza dello sguardo che cerca il vero.
Una drammaturgia viva e vivida (mai) scritta da Antonio Rezza e allestita da Flavia Mastrella e da entrambi diretta. Oltre a Armando Novara hanno collaborato Massimo Camilli (aiuto regia), Maria Pastore (luci), Maria Rita Rezza (coordinamento), Silvana Cionfoli e Francesco Artibani (assistenti alla creazione).
Uno spettacolo non recentissimo che però efficacemente si colloca all’interno della inesauribile ricerca avviata sin dal 1987, tra cinema teatro televisione performance ed installazioni figurative, da Antonio Rezza e Flavia Mastrella che sono diventati man mano punto di riferimento del “nuovo” teatro italiano.
Tre serate alla sala Trionfo del Teatro della Tosse di Genova, il 20 21 e 22 aprile, cui va il merito di aver portato a Genova uno spettacolo a mio avviso importante. Una sala sempre piena di un pubblico attento, intensamente impegnato e alla fine entusiasta.