Commedia brillante o leggera, si sarebbe detto un tempo, come nelle corde produttive e creative della “The Kitchen Company” diretta dal bravo Massimo Chiesa, che ne cura anche la regia, una compagnia che da qualche anno ha reintrodotto con la dovuta continuità questo tipo di drammaturgia, molto contemporanea e anche tipicamente anglosassone, riaprendo a Genova spazi di crescita per un pubblico che si era allontanato e anche per una critica talora disabituata ad un humor frizzante ma anche sofisticato e dallo sguardo spesso acuto più di altri. Una critica sociale che cerca nel cuore di quella classe borghese che ha forgiato la modernità nascondendosi a volte dentro di essa. Alla mente ritornano ovviamente George Bernard Shaw e Oscar Wilde, ma non solo, con loro una generazione con lo sguardo a Broadway e da lì alla Hollywood degli innumerevoli e acuti
sceneggiatori. Bernard Slade è uno di questi, e questa sua pièce del 1975 (ma sembra oggi) debuttò proprio a Broadway per poi traslocare sulle ali del lungo successo (quattro anni di repliche) appunto sulla costa californiana. Commedia quasi intimista, racchiusa nello spazio della stanza di un Motel e nel tempo di un rapporto di coppia occasionale e adulterino ma paradossalmente solido e duraturo che si dipana lungo 25 anni. Ma è una sintassi drammaturgica solo apparente perché in quella relazione e nelle sue contraddizioni scorre l’America che si apre integra e tumultuosa proprio da quello sguardo duplice e nascosto.
Vittorie e sconfitte, personali e collettive, gioie e tragedie riempiono così la scena di personaggi conosciuti solo dalle parole dei due protagonisti, ma che per loro e per noi diventano straordinariamente e concretamente presenti. Una trama sottile che lascia intravvedere ma che non si racconta se non in scena.
Qui Alberto Giusta e Alessia Giuliani sostengono bravamente la prova, alternando grottesco mimico e ironia della parola e moltiplicando così i piani della narrazione che la regia del citato Massimo Chiesa dipinge con mano leggera.
Non possiamo in proposito che spendere due parole a favore di questa compagnia e del suo ideatore sotto avviso di sfratto dal “loro” Teatro della Gioventù di Genova, che hanno il non piccolo merito di aver fatto rinascere. Sarebbe un peccato per tutti se le istituzioni locali non sapessero trovare una valida localizzazione alternativa. Equivarrebbe a far morire una esperienza a suo modo innovativa e di successo.
Credo ne abbiano consapevolezza anche Soriteatro, che ha ospitato lo spettacolo nel rinato Teatro Comunale di Sori al termine di una stagione finalmente intensa, e il suo direttore artistico Sergio Maifredi. Costruire una realtà teatrale decentrata, fuori cioè dai principali circuiti metropolitani, è infatti compito non facile e richiede impegno e fantasia. Ci auguriamo dunque che sappiano confermare e stabilizzare quanto di buono sin qui costruito.
Visto il 22 maggio, insieme ad un pubblico partecipe e che ha a lungo applaudito.