Forse si dà troppo per scontato, nella odierna comune percezione, che la generazione dei trentenni in Italia e non solo, i cosiddetti “millenial”, sia una generazione avviata a perdersi, quasi che questo sia una specie di imprimatur genetico, una colpa intima e intrinseca insomma a quel gruppo di persone anagraficamente assimilate, e non al contrario l’effetto perverso della ricaduta di una crisi economica e sociale che ci ha tutti segnato e di cui loro, i trentenni appunto, sono diventati una cartina al tornasole se non addirittura un collettivo capro espiatorio. Questa breve drammaturgia della giovane Silvia Zoffoli, che cerca di aprirsi una originale strada creativa tra cinema e teatro, tra scrittura e regia, tenta di mostrarci un’altra faccia, più nascosta e meno sondata, di questa crisi contemporanea, quella della introiezione della colpa che pare caratterizzare molte di quelle vite, che
rimangono comunque ciascuna diversa nella sua singolarità, una introiezione che immobilizza e imprigiona ed, in un certo senso, auto-conferma l’impossibilità di un riscatto.
Così i sogni e i desideri di questi quattro emblematici personaggi, sogni e desideri che sono e sono stati comuni a tutte le generazioni (la maternità, la realizzazione lavorativa, la rivolta contro i padri e quant’altro) sembrano come risucchiati all’interno e perdono di vista il loro naturale orizzonte ed anche il loro naturale avversario (una società diseguale e dominata dal denaro) per scivolare talora nell’autocompatimento.
In realtà troppo spesso dimenticano e anche noi dimentichiamo, quasi a nascondere responsabilità che sono in fondo collettive e riguardano tutti, che la loro crisi non è la causa della loro perdita, ma l’effetto secondario e perverso di una economia ormai disumana.
Quattro giovani dunque alle prese con sé stessi tra resistenza e fuga, alla ricerca di una autenticità e di una identità che la società sembra loro rifiutare pervicacemente costringendoli, inconsapevolmente forse, ad una illimitata adolescenza. Il rapporto che si crea drammaturgicamente in scena però mostra, o meglio allude, che la relazione reciproca può a volte essere anche liberatoria se svela le finte identità che ci vengono man mano proposte.
Quattro maschere generazionali alla ricerca del loro orizzonte, questo compone la interessante drammaturgia della Zoffoli anche se, talora, rimane un po’ alla superficie non riuscendo ad aggredire fino in fondo l’intimità dei personaggi e anche la nostra.
Quarto appuntamento della rassegna di Drammaturgia Contemporanea dello Stabile di Genova, al teatro Duse dal 14 al 24 giugno, per la regia di Elisabetta Mazzullo, una regia dalla sintassi cinematografica intrisa di musica e movimenti coreutici, in parte non del tutto coerenti ed omogenei.
I quattro protagonisti, Valeria Angelozzi, Matteo Cremon, Valentina Favella e Matteo Palazzo costruiscono una buona prestazione in mimica e presenza scenica.
Convinti gli applausi all’esordio.
Foto Lanna